Cos’è Bollate?

Paolo Aleotti, membro della giuria del nostro Premio, ci porta nel carcere di Bollate, dove si realizza “Radioreporter”, una straordinaria esperienza di giornalismo quest’anno partner del Premio Roberto Morrione.

La Seconda Casa di Reclusione di Milano, Bollate, venne inaugurata nel dicembre del 2000 come “Istituto a custodia attenuata per i detenuti comuni”.

Al suo interno vivono oggi circa (la cifra precisa varia praticamente di giorno in giorno) 1100 detenuti e 100 detenute.

È considerata da molti come l’isola felice delle carceri italiane.

La politica dell’Amministrazione penitenziaria dei circuiti penitenziari differenziati prevede, per ogni tipologia di detenuti, una risposta punitiva differente, che bilanci l’aspetto punitivo e quello rieducativo della pena, in un ventaglio di opzioni che va dal regime dell’articolo 41 bis (comunemente chiamato “carcere duro”) a quello dell’alta sicurezza; dal circuito dei detenuti comuni fino alla custodia attenuata applicabile a tossicodipendenti e a detenuti comuni non pericolosi socialmente (per i quali è possibile ottenere, previo stretto controllo e conseguente preventivo assenso da parte dei magistrati di sorveglianza, lavoro all’esterno e misure alternative alla detenzione).

Lucia Castellano, ex direttrice di Bollate
Lucia Castellano, ex direttrice di Bollate

A Bollate il prezioso lavoro condotto per i primi 10 anni dalla Direttrice Lucia Castellano ed ora rilevato con grande continuità dal suo successore, Massimo Parisi, ha condotto finora ad un risultato positivo inequivocabile.

I metodi “alternativi” di Bollate (porte delle celle aperte tutto il giorno; sorveglianza soffusa; possibilità di accedere ad attività lavorative sia all’interno, sia all’esterno del carcere, con l’art. 21; alta potenzialità di studiare e compiere attività culturali come teatro, poesia, fotografia, ecc..) hanno prodotto infatti un radicale crollo della “recidiva”.  Si pensi che la percentuale di coloro che tornano in carcere dopo esserne usciti è mediamente, su tutto il territorio italiano, negli altri 204 Istituti di pena, del 67 per cento.

Massimo Parisi, direttore di Bollate
Massimo Parisi, direttore di Bollate

A Bollate scende bruscamente, ben sotto il 20 per cento.

Risultato davvero eccellente, per un carcere che però, al contrario di quanto comunemente si pensi, non è “speciale”. Non adotta cioè leggi o regolamenti speciali. Ma è semplicemente uno dei pochissimi carceri che applicano alla lettera le leggi vigenti della Repubblica italiana.

In realtà, ad ascoltare la ex Direttrice Castellano, oggi Consigliere regionale per la Lombardia e componente della Commissione per le questioni penitenziarie del ministero della Giustizia, il vero problema delle carceri italiane è soprattutto quello di una cattiva organizzazione del sistema carcerario.

Il Pianeta carcere resta per ora un mondo di poveri, un mondo di estrema sofferenza appesantita, in molti carceri, fino alla recente sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo, di un disumano sovraffollamento. Epperò, secondo la creatrice del “modello Bollate”, basterebbe fermarsi un momento e riorganizzare il sistema carcerario per rendere il panorama penitenziario italiano sicuramente migliore.

Esistono tra l’altro, ad aggravare la situazione, differenze sostanziali tra l’obiettivo istituzionale e l’obiettivo reale di un carcere.

Nel carcere, ancora oggi, si entra in un mondo il cui obiettivo è far male a chi ha commesso un reato. Punire quelle persone. Radiarle dal contesto sociale: un mandato non scritto che proviene dal mondo esterno, in fondo da ognuno di noi.

Siamo noi, molto spesso senza accorgercene, che vogliamo che chi ha fatto male stia male a sua volta.

Riusciremo mai ad annullare il valore vendicativo della pena, a favore dei valori di rieducazione e di reinserimento nel contesto sociale?

Bollate è la risposta. “Bollate non sembra un carcere”, dicono molti visitatori.

È vero il contrario. Bollate è un carcere moderno, all’interno del quale i carcerati scontano, come è giusto, la propria pena; e durante questa lavorano, per tornare in libertà, pronti non più a delinquere, ma a vivere come cittadini che hanno sbagliato, che hanno pagato per le proprie colpe, e che sono pronti ad iniziare una vita nuova.

Paolo Aleotti