L’inchiesta è una battaglia collettiva. L’intervista a Edwy Plenel, fondatore di Mediapart

@Foto di Andrea Marcantonio per Premio Morrione - Torino 2017 - Circolo dei Lettori

di Antonella Graziani

Edwy Plenel, direttore e fondatore di Mediapart, è stato ospite dell’Associazione Amici di Roberto Morrione durante le giornate di premiazione della sesta edizione del Premio Morrione per il giornalismo investigativo a Torino a ottobre 2017.
Mediapart è un media unico nel panorama europeo come modello economico e come esempio di giornalismo investigativo che vive esclusivamente con gli abbonamenti dei lettori, senza finanziamenti e pubblicità. Le inchieste condotte dai giornalisti di Mediapart hanno contribuito a far maturare all’elettorato francese un’opinione chiara e precisa degli uomini di governo, smascherati da alcune inchieste relative a corruzione e frodi fiscali. Edwy Plenel ci ha raccontato, in un’intervista in esclusiva, le sue inchieste più significative e come è riuscito a realizzare un canale di informazione di tale successo durante la grande crisi della stampa.

  • Può spiegare agli italiani cos’è Mediapart e come ha capito l’esigenza di creare questo canale d’informazione?

Mediapart nasce dall’idea di difendere il valore del giornalismo durante la crisi che ha sconvolto la nostra professione, la rivoluzione digitale. Noi abbiamo creato un giornale totalmente digitale e indipendente che ha deciso di fondare la sua indipendenza sul valore di ciò che facciamo. Spieghiamo ai nostri lettori che quello che noi facciamo ha un prezzo: il lavoro dei giornalisti, l’utilità dell’informazione e la necessità per la democrazia. Mediapart è stato il primo a dire “l’informazione gratis e finanziata dalla pubblicità distrugge il valore del giornalismo”. Noi giornalisti, d’altra parte dobbiamo dimostrare il valore del nostro mestiere, l’originalità delle nostre informazioni e la necessità del nostro lavoro. Questo ci permette di costruire una nuova alleanza tra noi e l’elettorato. Mediapart ha dimostrato che questo è possibile. E’ un’impresa redditizia, che ha un profitto superiore a quello dei grandi media tradizionali come il New York Times, Le Monde, La Stampa. Quest’anno abbiamo avuto un profitto di due milioni di euro per un fatturato di 13,5 milioni. Dunque noi creiamo ricchezza lavorando come giornalisti.

  • Com’è riuscito a convincere i lettori che fare inchieste ha un prezzo ed è importante pagare per ricevere informazioni?

Le abbiamo convinte prendendo atto che ormai ci rivolgiamo ad un pubblico che ha già molte informazioni: ci sono i canali allnews 24 ore su 24, i social network… i lettori sanno già molte cose, più o meno bene, ma comunque riescono a ricevere molte informazioni. Noi giornalisti non solo investigativi, ma anche i reporter e gli analisti, dobbiamo sempre scegliere l’informazione che ha più valore. Se ci accontentiamo di ripetere quello che c’è dappertutto non abbiamo valore. I lettori dicono “sì ma questo lo so già, l’ho già visto, l’ho già sentito” quindi sta a noi giornalisti sentire l’esigenza di essere originali, di trovare un nuovo punto di vista, un’informazione inedita, lanciare un dibattito interessante. Ovvero interrogarci sempre. Se noi giornalisti non ci battiamo per creare un’informazione originale è normale la perdita di fiducia dei lettori.

  • E quali sono le inchieste più importanti di Mediapart?

Voi sapete che sono un giornalista investigativo da più di 25 anni e all’epoca facevamo inchieste sulla politica, i partiti, il governo. Da quando abbiamo creato Mediapart dico che bisogna interessarsi a capire dove va il denaro: follow the money. Bisogna interessarsi al mondo della finanza, del business, degli oligarchi e a come questa parte di mondo corrompe lo spazio pubblico, con pratiche che non sono molto lontane da quelle mafiose. Il segreto è seguire il profitto che è l’unica ossessione di alcune persone, il profitto a qualsiasi costo. Quindi noi abbiamo creato Mediapart creando un interesse un anno prima della crisi finanziaria, cioè abbiamo convinto i lettori a interessarsi innanzitutto alla finanza ed è così che abbiamo condotto le nostre più grandi inchieste. In Francia abbiamo creato la presa di coscienza dell’evasione e della frode fiscale, la ricchezza nascosta nei paradisi fiscali come l’affaire Bettencourt, l’affaire Cahuzac (il Ministro delle Finanze era lui stesso coinvolto nella frode fiscale) ma abbiamo anche rivelato storie legate alla vendita di armi. La Francia è tra i cinque mercanti d’armi più grandi al mondo e abbiamo mostrato come questo ha avuto delle conseguenze sulla corruzione politica. Ma la nostra più grande inchiesta, che dura da più di sei anni, riguarda i nostri due paesi, la Francia e l’Italia. E’ un’inchiesta che voi italiani dovreste conoscere, è un’inchiesta enorme, la madre di tutte le nostre battaglie. Da sei anni noi seguiamo la pista che lega Nicolas Sarkozy e Mu’ammar Gheddafi. Quando Gheddafi era al potere, a partire dal 2005, Sarkozy e il suo entourage – con delle pratiche veramente mafiose – si sono legati alla dittatura di Gheddafi il quale ha finanziato la campagna elettorale di Sarkozy nel 2007. Questo legame è continuato dopo la vittoria di Sarkozy con una messa in scena dei famosi infermieri bulgari che erano stati già liberati e Sarkozy ha fatto in modo che si pensasse che fosse stato lui a intervenire per liberarli. Ma questo, soprattutto, ha avuto come conseguenza una guerra privata: la guerra del 2011 in Libia sotto iniziativa della Francia non è stata fatta con obiettivi umanitari ma costruita su una menzogna come quella in Iraq degli Stati Uniti. Il motivo di questa guerra è stato che Sarkozy ha avuto paura della rivolta dei popoli arabi, preoccupato che questi legami con Gheddafi venissero scoperti. Bisognava dunque nascondere le prove e i testimoni fino a Gheddafi stesso, ucciso in circostanze misteriose. Noi continueremo con queste rivelazioni che hanno dato vita anche a inchieste giudiziarie che apportano anch’esse nuovi elementi. Siamo di fronte a un fatto enorme che potrebbe essere considerato alto tradimento: un presidente della Repubblica francese finanziato dal denaro proveniente da una dittatura e che ha provocato una guerra internazionale per nascondere i suoi crimini.

  • Il giornalismo investigativo è un mestiere che ha dei pericoli. Lei qualche volta ha paura?

I pericoli che si corrono nel nostro mestiere li abbiamo visti con quello che è accaduto alla giornalista blogger indipendente uccisa a Malta (Daphne Caruana Galizia, nda) uccisa mentre faceva rivelazioni sulla finanza e la politica maltese. Le sue rivelazioni sono come quelle di Mediapart che fa parte di un consorzio, l’European Investigative Collaboration con cui abbiamo rivelato i Malta Files. La forza di Mediapart è appunto che non si tratta di avventure individuali. I giornalisti si mettono in pericolo quando fanno un’inchiesta da soli, si isolano, diventa un’avventura personale e diventano in questo modo obiettivi facili. Noi abbiamo sempre detto che un’inchiesta è un lavoro di gruppo, un’avventura collettiva, una battaglia. E questo ci protegge, questa cultura collettiva ci protegge.

  • Che consiglio darebbe ai giovani giornalisti?

Do sempre questo consiglio: affinchè le persone abbiano fiducia in noi bisogna accoglierle ed essere generosi. Non siamo poliziotti, non abbiamo il diritto di giudicare. Noi siamo al servizio della società e questo dobbiamo fare: creare un legame con la società.