Le catene della distribuzione: l’inchiesta è un piatto da servire caldo

di Leonardo Filippi, Maurizio Franco, Maria Panariello*

A Forlì le tagliatelle con le salsicce e gli asparagi sono squisite. La pasta è spessa e corposa, si amalgama perfettamente con il sugo. Gustiamo il piatto della casa, buttiamo giù un bicchiere di vino per digerire il boccone. Afflosciati poi sulla sedia, cerchiamo di rilassarci dopo due ore di intervista. Con un pezzo di pane rosicchiamo il bordo della ceramica, la mollica intrisa di pomodoro.

2016-05-18-PHOTO-00005238Il pensiero però, gli sguardi e le parole ritornano inevitabilmente, all’improvviso, un discorso tira l’altro e con il cibo che avanza le immagini dell’inchiesta si susseguono sulla timeline di una mattina lievemente soleggiata. Ritornano appunto, mentre il treno per Bologna ci aspetta al binario 2, i fotogrammi dell’intervista, le impressioni e gli spunti su cui indagare.

Costruire un’inquadratura, disegnarla, comporre un quadro, “non lasciare vuoti, attento alla luce e ai colori, non tagliarla, lascia un po’ d’aria sulla testa…”. Le domande annotate, cancellate, ponderate e rimestate sul taccuino, “seguiamo un ordine logico, si va dove vogliamo noi, pungoliamolo, assecondiamolo, aspetta, aspetta, è interessante ciò che dice…”. Sentire i contatti, creare un’intesa, una partecipazione emotiva, stando attenti a familiarizzare e al contempo, a tenere le distanze. “Come va? Scusa per la nostra assenza, non ci siamo fatti sentire perché stavamo pianificando il lavoro… allora ci vediamo il tale giorno alla tale ora. Per il resto tutto bene?”.

2016-06-05-PHOTO-00005566E il microfono? Il volume? “Si sente, si sente…”

Fare un’intervista significa tenere assieme tutte queste cose. Significa dare un equilibrio. Qui la meccanica funziona fino ad un certo punto, ma l’artificio è essenziale, il gusto deve essere sopraffino. Allora, rimoduliamo e impastiamo l’audio, l’immagine e il contenuto per uniformare, per rendere veritiera la realtà, per confermare che l’oggettività è una menzogna e che il reale è un dato soggettivo.

“Il vino stucca dopo un po’, buono comunque. Ma è vino della casa?”, qualcuno potrebbe obiettare, in fin dei conti, tutti e tre siamo intrisi di letteratura e poesia e perderci in sofismi è cosa facile.
Al di là della filosofia e dei panegirici quindi, il dramma o la bellezza del nostro lavoro risiede proprio nel costruire un equilibrio tra realtà e finzione giornalistica. Il difficile è sperimentarsi, prendere dimestichezza con i vari linguaggi televisivi, rispettare la forma e il contenuto, il botta e risposta davanti ad una telecamera.

FullSizeRenderIl difficile è armonizzare il tutto, senza sbagliare. Se manca un elemento, l’intervista, l’intera scena è da cestinare. E cestinare un tuo prodotto è un’impresa che in pochi sanno fare con lucidità, “ascolta cosa dice, siamo a cavallo, non possiamo buttare quest’intervista solo perché la faccia dell’intervistato ha lo stesso colore della carta da parati gialla della stanza”.
Cosa abbiamo imparato in questo mese? Che un’inchiesta è un piatto da servire caldo, se manca un ingrediente o abbondiamo con il sale, diventa immangiabile.

*finaliste del premio Morrione 2016 con il progetto di inchiesta “Le catene della distribuzione. Tutor Toni Capuozzo