#NoDiffamazione – Insieme per la libertà di informazione

Aveva ragione Roberto Morrione. Quando – oramai tanti anni fa – ebbe l’idea di riunire attorno ad un tavolo dello studio dell’avvocato Oreste Flamminii Minuto, giuristi ed esponenti del mondo dell’informazione tanto distanti fra loro per età, formazione, sensibilità, orientamenti politici, ma tutti legati dal comune desiderio di “fare qualcosa di concreto” per “schierarsi dalla parte” dei giornalisti minacciati dalle querele temerarie e dalle esorbitanti richieste risarcitorie nei giudizi civili: aveva sicuramente ragione lui. Allora come oggi c’era chi voleva mettere, più che il “bavaglio”, la “museruola” ai giornalisti, affinché i «cani da guardia della democrazia», come li chiamava con la sua amabile schiettezza Flamminii Minuto, smettessero una volta per tutte di mordere i potenti, di ringhiare contro il malaffare, di fiutare ovunque la puzza del compromesso morale.

Dovevamo fare qualcosa sin da allora. E dobbiamo continuare a “fare squadra” oggi, nel ricordo di Roberto ed Oreste, affinché la riforma della normativa in materia di diffamazione, in questi giorni in discussione in Parlamento, non si tramuti nell’ennesimo e definitivo assalto a quel che rimane della libertà di informazione nel nostro Paese. La vicenda dei cronisti dell’Unità, lasciati soli a far fronte ai processi ed ai pignoramenti personali dopo la chiusura del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, è in tal senso paradigmatica e nel contempo inquietante.

Non sono pochi i giornalisti, soprattutto nelle redazioni locali, che devono far fronte quotidianamente alle pretese giudiziarie, assai spesso manifestamente vessatorie, dei giganti delle multinazionali, dei politici di turno, dei colletti bianchi asserviti agli interessi delle consorterie criminali.

Già perché le mafie di oggi hanno ben capito che per mettere a tacere un giornalista si può anche fare a meno, almeno in un primo momento, di inviargli una busta carica di proiettili o di pagare qualche sicario.

Le querele intimidatorie costano meno, sono del tutto “legali”, non comportano alcuna conseguenza afflittiva per chi le sottoscrive e raggiungono solitamente il medesimo obiettivo: fanno comprendere al meglio il messaggio mafioso di coazione al silenzio che è destinato a chi le riceve.

In più, le azioni temerarie contro i giornalisti sollecitano sempre, in una certa componente dell’opinione pubblica, il dubbio sulla correttezza professionale di chi ha riportato una notizia (“se l’hanno denunciato, chissà cosa ha scritto”), mentre gettano sul cronista l’onta inesorabile dell’illecito civile o penale.

Ancora si può far qualcosa per migliorare la proposta di legge in esame dinanzi la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati: per introdurre ad esempio disincentivi più efficaci all’abuso del diritto di azione giudiziaria nei confronti dei giornalisti o per riformulare razionalmente il reato di diffamazione a mezzo mass media, sin qui perseguito a solo titolo doloso, configurando una nuova ipotesi di responsabilità colposa in grado di favorire l’accesso dei professionisti dell’informazione a quegli strumenti di copertura assicurativa di cui può disporre ogni altra categoria professionale (avvocati, medici, notai ecc.).

È il momento di tornare ad impegnarci insieme, in questa sfida comune di civiltà, contro le vecchie e nuove minacce che incombono sul futuro del giornalismo italiano.

Avv. Giulio Vasaturo

tutor legale per i finalisti del Premio Roberto Morrione

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