Dopo il 21 marzo, come continua la lotta alle mafie?

@ foto di Graziella Lavanga

di Carlotta Bartolucci, Libera VCO e Libera Piemonte

Dal 1995, il 21 marzo è la “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”. Una data in cui si celebra non solo il risveglio della natura, ma anche quello delle coscienze degli italiani, leggendo uno a uno i nomi delle ormai 1031 vittime morte per mano della violenza mafiosa. E’ così che si prova a restituire loro dignità: preservando il diritto di essere ricordate. Un momento per stringersi a fianco dei familiari, ma anche per chiedere alle Istituzioni maggiore impegno nel contrasto al radicamento silente delle mafie nelle diverse compagini della società.

Il 21 marzo rappresenta quindi l’appuntamento più importante dell’anno per Libera, che ci restituisce il senso di chi siamo: un’occasione per osservare quanto fatto, per poi, però, guardare oltre e rimboccarsi nuovamente le maniche. E continuare la strada. Perché abbiamo molteplici impegni di fronte a noi. Inscritti in un solco comune: la volontà di contrastare l’avanzata inesorabile dell’oblio, di andare contro lo “stato naturale delle cose” che porta a guardare al presente dimenticandosi di ciò che è stato. Noi invece vogliamo tenercelo stretto, per saper meglio leggere la complessa realtà che ci circonda e acquisire i giusti strumenti per affrontarla.

Per questo una delle priorità dopo il 21 marzo è quella di continuare a cercare la verità sulle storie delle vittime di mafia. Proprio il 19 marzo vi è stata una prima sentenza per l’omicidio del 5 agosto 1989 di Nino Agostino e sua moglie Ida Castelluccio a Villagrazia di Carini (Palermo). Da quel giorno il padre, Vincenzo, ha giurato di non tagliarsi barba e capelli finché non avesse ottenuto Giustizia: e ora, finalmente, dopo la condanna all’ergastolo di Antonino Madonia, forse quella lunga barba bianca se la potrà tagliare. Ma per circa l’80 per cento delle vittime ancora non si conosce la verità. E tra queste, tanti giornalisti. Penso a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi il 20 marzo 1994 a Mogadiscio: i genitori di Ilaria sono morti senza poter sapere; penso a Mauro De Mauro, ucciso il 16 settembre 1970 a Palermo e il cui corpo, in 51 anni, non è mai stato ritrovato; penso ad Anna Politkovskaja, uccisa nel proprio palazzo a Mosca il 7 ottobre 2006, ma per quale ancora non si ha alcuna condanna per mandanti o esecutori.

Contrastare lo “stato naturale delle cose”, provando a “conoscere per discernere”, come dice Don Ciotti: la forza di Libera sta anche nei tanti presidi e associazioni in tutta Italia che studiano i processi per saper leggere le dinamiche di potere criminale del territorio. Sia presidiando le aule di tribunale per comprendere ed esserci alla Tina Anselmi, sia riaprendo i faldoni di vecchi processi che rischiano di venir dimenticati. Un lavoro di monitoraggio e approfondimento che non può rimanere d’élite: ed è responsabilità anche dei giornalisti fare in modo che ciò che contengono le carte processuali raggiunga i cittadini, anche per far comprendere il (non) stato di salute della nostra società.

Attualmente il processo “Rinascita Scott” ha tutte le caratteristiche per scrivere la Storia, se non come il maxi processo di Falcone e Borsellino sicuramente come ha fatto “Minotauro” per il nord Italia. “Rinascita Scott” è infatti il risultato di 5 anni di indagini che ha portato a sgominare 13 locali di ‘Ndrangheta che da Vibo Valentia si ramificavano in tutta Italia e controllavano saldamente tutto il vibonese: dalla politica, all’economia, ai cittadini. Bisogna tenere gli occhi puntati. Al sud come al nord: “Geenna” in Valle D’Aosta racconta di imprenditori parte di una vera e propria locale di ‘ndrangheta radicata in un territorio che conta meno di 130.000 abitanti; il processo “Fenice-Carminius”, in Piemonte, di collusioni ricercate attivamente dall’imprenditoria e di un consigliere Regionale eletto grazie ai voti comprati alla mafia, un 416-ter in piena regola.

Contrastare lo “stato naturale delle cose” per impedire che oggi si tessano le trame sbagliate di domani.

Lo stato emergenziale imposto dal Covid-19 ha creato terreno fertile per la mafia, che grazie alla liquidità di cui dispone ha il potere di porsi come una via d’uscita per tanti cittadini in difficoltà: la spesa a casa per gli anziani in cambio di favori, favori alle famiglie in difficoltà, prestiti a tassi d’usura per ristoratori e piccole imprese, ecco come si conquista il territorio. Serve dunque un’osservazione attenta della relazione tra mafie, corruzione e pandemia e una narrazione capillare dei tanti campanelli d’allarme, per fare in modo che arrivi prima lo Stato della mafia, laddove c’è bisogno. Così come vi è la necessità di monitorare i flussi di denaro che si stanno immettendo nella Sanità grazie ai tanti bandi e appalti, occasione ghiotta per le mafie.
È quello che prova a fare la campagna “Pensa alla Salute!”. La crisi pandemica è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso per un sistema precario da anni. E se non si guideranno – e racconteranno – questi processi ci troveremo nelle stesse condizioni tra dieci anni, ma con maggiore corruzione e criminalità infiltrata.

Quindi sì, questo 21 marzo ci ha permesso di osservare i risultati ottenuti fino d’ora ma anche di ribadire quanta strada vada ancora fatta. Tutti insieme: cittadini, terzo settore, Istituzioni, Forze dell’Ordine, magistratura, e anche giornalisti. Perché non possiamo permetterci che le cose siano e poi, a un certo punto, semplicemente, non siano più e vengano dimenticate. Ma abbiamo bisogno di contrastare l’inerzia del disinteresse, scavare e leggere il territorio per informare e prevenire, come la più sana tradizione del giornalismo ci ha insegnato a fare.