Una vecchia Olivetti, quella di Roberto Morrione

di Francesco De Vitis, vice direttore Rai Radio 1 e del Giornale Radio

Qualche tempo fa abbiamo ricevuto una email con la foto di questa vecchia Olivetti, salvata dal macero dall’autore di questo testo, Francesco De Vitis, amico e collega di Roberto Morrione. 

La porta è sempre aperta sul corridoio della Direzione. E non può essere diversamente per questa stanza che è un po’ porto di mare e un po’ refugium peccatorum. Sono immerso nel disordine della mia scrivania, intento nell’ennesimo sudoku per far quadrare gli orari, quando la mia attenzione viene catturata da un suono imprevisto. Nel corridoio c’è qualcuno che canticchia, e pure bene, il coro del Nabucco. Mi affaccio e capisco che il cantante è un operaio con tanto di tuta blu che, coadiuvato da un collega, sempre in tuta blu, trascina un pesante carrello metallico, di quelli senza sponde, ingombro di oggetti vari.

“Ti piace l’opera, vedo…”

“No l’opera dotto’… a me me piace Giuseppe Verdi… ma che le ho dato fastidio?”

“Ma no, figurati… scusa se ti ho dato del tu, ma puoi darmelo anche tu… Francesco, piacere…”

“Enzo.”

E nella zeta di quell’Enzo c’è tutta la sua romanità, quella spontaneità un po’ malandrina che mi ha fatto amare i romani appena ho deciso di trasferirmi dalla mia Taranto alla Città Eterna. Il suo collega resta muto, tutto preso dalla musica del suo walkman. Non credo stia ascoltando Verdi.

“Allora, Enzo, che state a fa’?”

“Niente dotto’… France’… amo svuotato un par de armadi du’ stanze più in là…”

“E dove la portate questa roba?”

“ E dove la portamo France’? Al macero, è tutta roba vecchia alla luna…”

Guardo meglio sul carrello, tra scatole di cartone, faldoni impolverati, mucchi di giornali accatastati, una sedia tutta spelacchiata, c’è anche una di quelle vecchie Olivetti ingombranti che nelle redazioni (e anche negli uffici) non si vedono più da un pezzo. Un pensiero mi attraversa la mente, fulmineo. Un pensiero che è quasi una certezza. E’ la macchina da scrivere di Roberto. Mi avvicino per guardarla meglio: è proprio lei, con le sue scritte che vanno un po’ sbiadendo – Morrione, e sotto st.229, e sotto ancora palazzina C Tg3. La sollevo, ne ho usate anch’io ma non ricordavo fossero così pesanti. Enzo mi guarda un po’ perplesso.

“Qualcosa che non va dotto’?”

“Francesco, Enzo… no, tutto a posto… ma la posso prendere io? Sarebbe un delitto mandarla al macero, questa macchina è un pezzo della storia di questa Azienda…”

“Davvero France’? Certo che te la puoi tene’… ma di chi era?”

“Di Roberto Morrione… non so se hai presente…”

“Eccome no! Il baffo del Tg3… un grande…“, dice Enzo togliendomi la macchina dalle mani.

“Sì, hai ragione, un grande…”

“Dove la devo mette?”

“Lascia faccio io…”

“E no France’, così m’offendi!”, dice Enzo ridendo, ma risoluto. Sorrido anch’io e gli faccio strada per pochi metri, fino alla mia stanza. Gli indico il mobile basso e lungo, sei sportelli, di fronte alla scrivania. Al centro.

“Posto d’onore!”, commenta Enzo.

“Il minimo”, rispondo tendendogli la mano. Lui la stringe con forza e dice: ”E’ stato un piacere, France’…”

“Piacere mio, Enzo…”, rispondo facendo suonare la zeta come fa lui che mi ripaga con un sorriso divertito.

Resto da solo. Penso che a Roberto questa scena sarebbe piaciuta molto, a cominciare dal coro del Nabucco. Guardo la sua macchina da scrivere e mi torna in mente uno scambio di battute di qualche anno prima, sempre a proposito di questa macchina. Io avevo detto qualcosa tipo “ma che fai, ti porti in giro quel catorcio…” e Bob di rimando: “Rispetto, compagno. Con questa ho scritto tutte le mie Edicole del Tg3”. Resto lì qualche minuto, travolto da una gragnuola di ricordi come pugni allo stomaco. Poi l’interfonico gracchia un’emergenza che mi trascina via.