Giornalismo, la scheggia di luce che illumina la notte

giornalismo - foto Premio Morrione - @Tisa/Marcantonio
foto di Andrea Marcantonio e di Federico Tisa

di Ilaria Genovese

“La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte”. Era il 1932 quando lo scrittore francese Louis-Ferdinand Céline pubblicò Viaggio al termine della notte, il suo primo romanzo – nichilista e cinico – destinato a diventare nel tempo metafora letteraria del passaggio, della transizione, dell’attraversamento di un buio che cambia volto a secondo di chi e di come lo osserva. La notte, nel 1932, non poteva che essere la Grande Guerra, vissuta in prima persona, con le sue conseguenze sociali e politiche, dal protagonista del romanzo.

Quale notte stiamo vivendo, invece, oggi? E’ il quesito intorno al quale si sono articolate le tre giornate finali del Premio Roberto Morrione, svoltesi a Torino dal 28 al 30 ottobre e intitolate, per l’appunto, “Al termine della notte: la transizione nel XXI secolo”.

Ispirato proprio dal romanzo francese, l’evento ha investigato la transizione che il giornalismo sta affrontando oggi, provando a fare chiarezza sui principali vicoli bui – la diffusione delle fake news online, la corsa alla quantità e l’abbandono della qualità, la precarietà, la superficialità – in cui si imbatte quotidianamente chi fa informazione e chi fruisce dell’informazione stessa.

L’espressione “crisi del giornalismo” è quotidianamente sulla bocca di molti e si avvalla di due considerazioni. La prima: l’abbassamento drastico della qualità dell’informazione, dovuto probabilmente anche allo sbarco delle notizie sul web, che ha imposto per anni ritmi rapidi e frenetici e regole stilistiche asciutte, più concise e meno approfondite. La seconda considerazione, conseguenza della prima: la delegittimazione del mestiere che, perdendo di vista il focus principale – ovvero informare con contenuti di qualità – ha perso anche la credibilità agli occhi del pubblico che fruisce dei servizi giornalistici.

E’ possibile vedere oltre la notte, immaginare una diversa realtà delle cose? La soluzione è una, chiara e biologica: adattarsi alle novità emerse nei primi decenni del nuovo millennio. Costruirsi uno spazio proprio nel mare magnum dell’offerta comunicativa sul web e sui social network; uno spazio che sia affidabile, competente e credibile. Rimodellare i propri strumenti di comunicazione. Studiare nuove tecniche di narrazione mantenendo saldo l’obiettivo della trasparenza e della responsabilità morale e professionale. Flettersi al nuovo, senza piegare la propria missione.

Il Premio Roberto Morrione ha, nella pratica, messo insieme i pezzi. Da tre edizioni, gli organizzatori hanno scelto di dare la possibilità ai giovani giornalisti di lanciarsi in una nuova categoria di inchiesta, la categoria sperimentale/multimediale, servendosi di qualunque linguaggio, tecnologia e stile espositivo adatti alla narrazione giornalistica. Ancora: dalla prossima edizione, il Premio Morrione introdurrà la categoria radio-podcast d’inchiesta, in seguito al grande successo e alla grande diffusione che hanno incontrato le nuove narrazioni giornalistiche nell’ambito radiofonico.

Parafrasando Louis-Ferdinand Céline, alla luce delle riflessioni emerse, possiamo quindi affermare che il giornalismo, in fondo, altro non è – o dovrebbe essere – una scheggia di luce che illumina il non detto, il non indagato, il non approfondito, il superficiale e l’approssimativo, adattandosi ai cambiamenti, reinventandosi nella forma e nel linguaggio, per essere sempre più fruibile, democratico e universale.