Semplicità del racconto e approccio visivo per realizzare una inchiesta. Intervista al tutor Luca Rosini

Luca Rosini sarà uno dei quattro tutor di questa nona edizione del nostro premio e seguirà, quindi, uno dei progetti finalisti per la categoria video. Classe 1977, è giornalista, regista e conduttore e ha realizzato inchieste e reportage in Italia e all’estero per i programmi Annozero (Rai 2), Piazzapulita (La 7), Virus e Night Tabloid (Rai 2). Gli abbiamo rivolto cinque domande per conoscerlo meglio e per capire come ricoprirà questo ruolo fondamentale nel nostro concorso giornalistico. Chi arriverà in finale avrà l’opportunità di essere supportato da un tutor giornalistico, dal tutor legale avv. Giulio Vasaturo, dal tutor musicale Pietro Ferri, dal tutor digitale Stefano Lamorgese e dal tutor tecnico audio video Francesco Cavalli. C’è tempo sino al 20 gennaio per inviare la vostra candidatura.

  • Perché hai accettato il ruolo di tutor del Premio Morrione? Che cosa significa per te?
Roberto Morrione è stato il mio primo direttore in Rai. Ricordo la sua autorevolezza e uno spirito paterno e affettuoso che mi fece subito sentire a casa a Rainews24. Sotto la sua guida ho imparato a muovere i miei primi passi come giornalista del servizio pubblico. Oggi vorrei restituire un po’ di quello che lui mi ha trasmesso, insieme alle esperienze che ho maturato durante la mia carriera, ai giornalisti che desiderano specializzarsi nell’inchiesta audiovisiva. Credo sia il modo più efficace per ricordare la sua figura professionale e la sua grande umanità. 
  • Cosa ti aspetti dal giovane under 30 che seguirai nella realizzazione dell’inchiesta?
Mi aspetto una forte curiosità, la capacità di analizzare i fatti con spirito critico ma non ideologico, la passione per il racconto della realtà, l’umiltà di imparare dai propri errori, lo zelo e il rigore. Un buon giornalista di inchiesta che lavori con l’audiovisivo secondo me oggi deve avere o sviluppare anche capacità narrative proprie del linguaggio documentario, insieme a un gusto per lo stile visivo, la fotografia e il montaggio. 

  • Quando ha capito che la sua professione sarebbe stata quella giornalistica?
E’ stata una lenta e progressiva presa di coscienza dell’amore per la realtà, iniziata a 16 anni in una piccola radio bolognese e proseguita negli studi, nelle esplorazioni fotografiche, nei primi video reportage e nei documentari indipendenti. La scuola di giornalismo ha poi segnato una scelta di campo professionale. Il mio viaggio nel racconto della realtà oggi continua a muoversi tra giornalismo e documentaristica, nutrendosi delle mie esperienze televisive e dei miei progetti più narrativi. 

  • C’è una inchiesta che consideri un esempio da seguire? Se si, quale e perché?
Sono rimasto molto colpito da “Icarus” di Bryan Fogel, uno splendido esempio di documentario narrativo d’inchiesta: un regista si mette in gioco in prima persona per raccontare una certa storia, ma poi il film che sta costruendo prende una piega inaspettata che lui sa cogliere e seguire fino alle estreme conseguenze. Un film che ha messo sotto accusa il governo della Russia di Putin e che ha portato ad un terremoto nel mondo dello sport olimpico. In Italia noto un rifiorire del genere inchiesta. Accanto ad alcuni programmi tv storici come Report e Piazza Pulita, sono emersi nuovi soggetti editoriali come Fanpage che hanno saputo imporsi in modo spregiudicato ma efficace sull’agenda setting.
 
  •  Cosa consigli a chi in questo momento sta scrivendo il progetto di inchiesta per il nuovo bando?
Concentratevi sull’aspetto visivo almeno quanto sui contenuti. Chiedetevi “chi, cosa e perché” ma non dimenticatevi il “come”. Che cosa è filmabile, come lo riprendo? Cosa non lo è e come posso ricostruirlo? Quali sono gli snodi necessari a rendere comprensibile il mio racconto e come posso renderli concreti e autentici, non tradendo ma anzi valorizzando la verità dei fatti? Una grande inchiesta televisiva è a mio parere composta da tre elementi ugualmente fondamentali: un tema di interesse pubblico urgente, una scrittura allo stesso tempo rigorosa e comprensibile e una fotografia memorabile. Questo vale anche per le inchieste che utilizzano piattaforme “non convenzionali” come il web o i social network: semplicità del racconto e approccio visivo curato sono alla base del successo.