Torniamo a raccontarvi con la penna di Paolo Aleotti, membro della giuria del nostro Premio, la straordinaria esperienza di giornalismo vissuta dai detenuti del carcere di Bollate e dagli studenti di giornalismo dell’Università Cattolica di Milano. Si tratta di Teleradioreporter e da quest’anno è partner del Premio Roberto Morrione.
La stanza di Carte Bollate, il giornale dei detenuti che da anni racconta la vita interna al II Istituto di Reclusione di Milano, si è trasformata, e lo sarà per due mesi, nella sede del Laboratorio Teleradioreporter.
Alle finestre ci sono le sbarre, dettaglio ovvio per una prigione. Ma la porta è aperta. Come aperte sono durante il giorno le celle dei detenuti di questo carcere pilota, che inizia a trascinare sulla scia del suo esempio altri Istituti in Italia, che guardano a Bollate come il luogo del cambiamento possibile.
Tutt’intorno, appese al muro, tante copie colorate della rivista che da anni raccoglie i pensieri, gli articoli, le interviste, la realtà dell’Universo Bollate. Lungo due pareti, 4 computer che servono per scrivere, montare e raccogliere i servizi di Radio Bollate, altra iniziativa mediatica della Casa di Reclusione.
Attorno al lungo tavolo della Redazione, mescolati tra loro, una ventina di detenuti (14 uomini, 6 donne) e 6 studenti dell’Università Cattolica di Milano (5 ragazze e un ragazzo) accompagnati dalle loro due assistenti.
Il Laboratorio decolla lentamente. I partecipanti iniziano studiandosi, guardandosi. Poi, pian piano, accalorandosi, discutendo avanzando dubbi e domande per i loro insegnanti
Timidissimi nei primi incontri gli studenti, tutti poco più che ventenni, iscritti al corso di giornalismo.
Più sicuri di sé i detenuti. Alcuni giovani, altri meno; per tutti loro un passato difficile, che scontano con un presente di reclusione e un futuro vicino o lontano (dipende dalla pena) di possibile recupero sociale.
All’inizio i detenuti, che giocano in casa, sono protettivi con i ragazzi. Poi pian piano, incontro dopo incontro, timidezze e tensioni si dipanano, inizia a nascere il dialogo, il confronto.
Al centro del tavolo abbiamo messo una scommessa. La possibilità di accostarsi al documentario televisivo. Di cimentarsi con l’ideazione, la scrittura, l’organizzazione, le riprese, il montaggio. E con la disciplina necessaria, anzi obbligatoria, in un lavoro di gruppo così largo ed eterogeneo.
Al mio fianco una brava filmmaker da cui assorbire i primi elementi della ripresa e del montaggio.
I primi incontri sembrano davvero inconcludenti, certamente improduttivi.
Desiderio ed attenzione sono alti, ma più forte ancora è la necessità di comunicare, di conoscere, di raccontarsi, di scoprirsi l’un l’altro, di essere e sentirsi “presenti”.
Ma poi, al quarto incontro, ecco la svolta. Complice un battibecco su chi alzava troppo la voce e impediva agli altri di ascoltare.
Un piccolo richiamo all’ordine, un attimo di imbarazzo e silenzio, e poi la comunicazione inizia a fluire, tra studenti e detenuti, tra detenuti e detenuti, tra studenti e studenti.
Tutti intervistano tutti, tutti prendono appunti, tutti hanno voglia di addensare e iniziare a tradurre in immagini tante parole, tante emozioni, tanta curiosità, dietro cui c’è, naturalmente, anche dolore e sofferenza da una parte, inesperienza e stupore dall’altra, per la vita “vera”, con le sue durezze e le sue bellezze.
Il quinto incontro della serie vede nascere il titolo provvisorio del nostro documentario: “Dalla spoliazione alla restituzione”. Dall’ingresso cioè in carcere di un condannato, quando si è fisicamente e simbolicamente spogliati di tutto, dei propri vestiti e della propria identità; passando per il recupero lento, graduale, del proprio io, grazie alla detenzione ma soprattutto grazie alle tante attività culturali, ricreative, formative, lavorative che offre Bollate; per giungere fino all’uscita dal carcere e al rientro nella società civile.
Nel prossimo incontro inizieranno le riprese. Ciak, si gira a Bollate. Con la preoccupazione, da parte dei detenuti, di non raccontare un carcere a 5 stelle. Ma un carcere come dovrebbe e potrebbe essere.
Paolo Aleotti