Incontri ravvicinati alla Fiera del Libro di Iglesias

foto di Valentino Chirra

di Stefano Lamorgese

Il 20 e il 21 Aprile, invitato dalla Fiera del Libro di Iglesias, ho incontrato circa centocinquanta studenti di due istituti superiori: gli allievi del Liceo “De Castro”, a Oristano, e quelli del Liceo “Baudi Di Vesme”, a Iglesias. Età compresa tra i 17 e i 18 anni.

Ho cercato di rappresentare la comunità dell’Associazione Amici di Roberto Morrione; di raccontare la storia del nostro Premio giornalistico; di descrivere la nostra esperienza originale, contestualizzandola nel panorama del sistema italiano dell’informazione.

A questo proposito sento il dovere di ringraziare tutte le persone che ci hanno permesso di incontrare i ragazzi delle scuole: i dirigenti scolastici e gli insegnanti, sostenitori sinceri e indispensabili compagni di strada; i ragazzi stessi, chiamati a confrontarsi con alcuni aspetti della realtà che tutti ci circonda ma che troppo spesso sono oscurati da abitudini e automatismi più che opachi. E infine: il grazie più caloroso, che rivolgo ad Argonautilus, l’eroica associazione culturale che organizza da otto anni una fiera (una fiera del libro!), nel quadrante più problematico ed economicamente depresso dell’intera Sardegna.

Ma veniamo a noi: è stato un successo? Difficile rispondere.
Perché? Procediamo per gradi, partendo dalla cronaca.

Andare nelle scuole
Ogni incontro si apre seguendo uno schema consolidato: i ragazzi prendono posto nell’aula, scegliendo come d’abitudine le posizioni più lontane dalla prima fila; vengono quindi invitati dagli insegnanti ad avvicinarsi, tra sorrisini, ritrosie e silenziosi scuotimenti di capo. La prima fase, insomma, ripete il ben noto stilema comportamentale: gli studenti non vogliono esporsi e quindi non hanno alcuna intenzione di mostrare curiosità, se pure ne hanno. Tipico degli adolescenti, si dirà. Ed è normale.

Ottenuta a fatica una disposizione più aderente alle esigenze di un dialogo da condurre con tono di voce normale, senza urlare e senza ricorrere all’amplificazione, gli insegnanti-accompagnatori e un delegato della Fiera del Libro presentano l’incontro del giorno: “È una grande occasione per voi!”, si raccomandano. Reazioni tra i giovani: zero virgola. Poi arriva il mio turno.

Sia chiaro: a me fa piacere incontrare i ragazzi. Anzi: lo considero un dovere e considero queste occasioni come opportunità indispensabili per tentare di tastare il polso dei più giovani, per provare a capirli meglio, per avviare un confronto che tutti speriamo fecondo e durevole. Quindi sono profondamente onorato della fiducia che ricevo e che, tramite me, spetta a tutti i membri e agli amici della nostra associazione.
Però – seppur piacevole e motivo d’orgoglio – parlare a ragazzi sconosciuti e spesso ostili è diventato, nel corso del tempo, sempre meno facile; ciò pone a noi tutti degli interrogativi molto aspri.

Gli incontri: liceali del 2023
Testa pelata e barba imbiancata, sono partito giocoforza dall’evidenza: il confronto generazionale.
Ho mostrato al gruppo alcuni quotidiani, acquistati per l’occasione e aperti sul tavolo. E poi: “Chi di voi legge i giornali di carta?” ho domandato, conoscendo già la risposta: nessuno.
Anzi, no: una ragazza, Alice, ha alzato la mano e ha detto che “Sì, qualche volta li leggo. Mio padre compra il Corriere della Sera…”. Ecco, uno su cento: tanti erano i ragazzi di Oristano. Per la precisione: due, soltanto due, hanno confessato di leggere anche dei libri. Gli altri, tutti gli altri, no.

Apertasi in questo modo la questione della “dieta mediatica”, ho invitato i ragazzi a raccontare le strategie che adottano per informarsi. Perché è così: loro si sentono informati anche senza Tv e senza giornali. Non è certo una novità. Li ho invitati a consultare lo strumento che misura, su ogni smartphone, i tempi di fruizione di ciascuna App, poi abbiamo messo a confronto i numeri: la maggior parte trascorre almeno quattro-cinque ore al giorno (ma alcuni rivelano picchi di dieci ore!), sfogliando le pagine e i profili di Instagram, TikTok e – molto pochi – di Twitter. Su Facebook non ci va più nessuno: è roba per “boomers”.

Così si capisce perché il “gap generazionale” diventi, anno dopo anno, sempre più simile a un oceano sconfinato. Come tenere insieme – o, almeno, in contatto – le due sponde? Come lanciarsi segnali intellegibili grazie a un codice comune? È, questa, una delle sfide più difficili tra le moltissime che abbiamo davanti: noi del Morrione, noi giornalisti e noi “adulti”, tutti.

L’occasione passa in treno (merci)
La questione della dieta mediatica, posta anche ai ragazzi di Iglesias, è caduta in un’occasione fasta.
Proprio il giorno prima, infatti, l’Italia era stata “spaccata in due” a causa dell’incidente ferroviario avvenuto a Firenze. Ebbene: i giovani liceali del “Baudi di Vesme” non ne sapevano nulla. Nessuno ne aveva nemmeno sentito parlare.

Quello è stato il momento giusto per chiedere al mio giovane uditorio: “Che cosa significa, per voi, essere informati?”. E ho sciorinato davanti ai loro occhi, tutto tronfio, i quotidiani di carta. Ho cercato di dimostrare che le loro strategie informative sono insufficienti, incomplete… che la loro “dieta mediatica” li priva di sostanze indispensabili. Va bene non giudicare aprioristicamente la “bolla” che li rinchiude, ma come la mettiamo con la funzione civile dell’informazione? Con quali informazioni andranno, domani o dopodomani, a votare? Quale cittadino emerge da un simile processo di costruzione della coscienza civile?

Pur apparentemente non troppo colpiti da quella fortunosa dimostrazione, i ragazzi del Sulcis hanno dato vita a un dibattito vivace, con domande e critiche che sono piovute tra noi mitigando la precedente siccità dialettica: abbiamo finalmente cominciato a confrontarci davvero. Sono stato fortunato, insomma. Ma non credo di aver acceso davvero una luce nella coscienza dei ragazzi: il sistema dei media, social compresi, si alimenta della sua strutturale autoreferenzialità, mette radici nell’emulazione narcisistica, ha carattere troppo efficacemente ipnotico perché un treno merci deragliato a Firenze sia capace di scardinarne i presupposti…

Pensare il futuro
Come credo che si possa facilmente arguire, quindi, per raccogliere in futuro i frutti che tutti auspichiamo non basta raccontare che “alcuni ragazzi, poco più grandi di voi, hanno partecipato con successo al Premio Roberto Morrione”. Non è sufficiente mostrare loro, in audio e in video, le storie che i nostri hanno raccontato, le barriere che hanno superato, le diffidenze che hanno vinto, la luce che hanno portato negli angoli oscuri della nostra società. Il giornalismo – tutto: non solo quello d’inchiesta – si fonda su presupposti irrinunciabili che si chiamano: curiosità, attenzione al contesto, desiderio di completezza e sete di verità. Ma ha bisogno di un pubblico: senza questo ingrediente non è solo il giornalismo, a scomparire; scompare la società stessa e ogni potenziale di cambiamento. Così, ecco la catastrofe, si finisce per dar ragione ai mostri che asserivano: “There is no alternative”.

È questo, ne sono convinto, il nostro cimento più grande.