Passione, rigore e umiltà per raccontare la realtà. Intervista alla tutor Raffaella Pusceddu

di Alessandra Tarquini

I tutor sono delle figure fondamentali nel nostro premio. Sono giornalisti di grande esperienza che affiancano i finalisti nella realizzazione delle loro inchieste. Negli anni abbiamo visto nascere delle significative relazioni tra i giovani autori e i loro tutor. Conosciamo dunque i tutor di questa ottava edizione a cominciare da Raffaella Pusceddu, inviata di Presadiretta di Rai Tre, alla quale abbiamo posto cinque domande per capire come intende ricoprire questo ruolo e le sue attese nei confronti degli under 30 che accompagnerà nella realizzazione dell’inchiesta finalista (ricordiamo che il bando è aperto sino al 20 gennaio 2019).

  • Perché ha accettato il ruolo di tutor del Premio Morrione? Che cosa significa per Lei?

Ho avuto modo di collaborare in passato con Diego Gandolfo e Alessandro di Nunzio, vincitori del Premio Morrione 2015. E’ stata un’iniezione di entusiasmo professionale anche per una veterana come me. Mi piace l’idea di alimentare e dare corpo alla passione giornalistica dei giovani che vorrebbero intraprendere questa professione. In un momento così difficile per i reporter precari e sottopagati, mi sembra importante fornire gli strumenti e le guide necessarie per   esprimersi e per non perdere la speranza in un futuro professionale.

  • Cosa si aspetta dal giovane under 30 che seguirà nella realizzazione della inchiesta? 

Mi aspetto passione, rigore e umiltà. Umiltà nel raccontare la realtà senza ritenersi depositario di una verità assoluta, occorre sempre tener presente che si sta parlando a qualcuno che il più delle volte ignora completamente il tema dell’inchiesta e bisogna essere capaci di semplificare anche a costo di rinunciare a incomprensibili “vanità” giornalistiche.  Rigore nell’esaminare la documentazione e nel verificare le fonti di ogni notizia, passione per l’inchiesta che si sta realizzando e per il racconto.

  • Quando ha capito che la sua professione sarebbe stata quella giornalistica? 

Ho studiato cinema e teatro, ho pensato di voler lavorare come sceneggiatrice o regista. Ma la realtà come al solito supera la fantasia e alla fine ho scoperto che mi interessava soprattutto raccontare ciò che mi accadeva intorno attraverso il linguaggio televisivo. Ho sempre lavorato in televisione, un mezzo che il più delle volte non ha bisogno di tante parole, bastano le immagini (come si usa dire) ma che risulta scomodissimo quando si tratta di inchieste. E’ una bella sfida portare le telecamere in un campo profughi, in un’azienda in odore di mafia, nell’ufficio del politico corrotto. 

  • C’è una inchiesta che considera un esempio da seguire? Se si, quale e perché?

Sono tante le inchieste che considero un esempio. Per quanto riguarda la carta stampata, potrei citare il giornalismo undercover di Fabrizio Gatti. Ad esempio “Bilal. Viaggiare, lavorare, morire da clandestini”, diario di quattro anni vissuti sotto copertura tra il deserto del Sahara, l’isola di Lampedusa e le campagne dove, grazie allo sfruttamento della manodopera, l’industria alimentare compra prodotti a prezzi da fame. Per quanto riguarda il giornalismo televisivo i grandi reportage di Riccardo Iacona come ad esempio  “W il Mercato” o “W la Ricerca

  •  Cosa consiglia a chi in questo momento sta scrivendo il progetto di inchiesta per il nuovo bando?

La cosa principale per me è creare innanzitutto la struttura del racconto che si intende fare, semplificare al massimo gli snodi narrativi, scegliere un punto di vista ben preciso e un percorso logico che dia ordine ai diversi temi dell’inchiesta. Una traccia che può essere cambiata dopo essersi confrontati con documentazione e testimonianze, ma che serve a non perdersi, soprattutto nelle prime fasi del lavoro, nei mille rivoli di un’inchiesta.