Sabrina Giannini la incontriamo al termine dell’evento di premiazione e presentazione delle inchieste finaliste alle Giornate del Giornalismo di Riccione. Da poco è stata premiata insieme ad Alessandro di Nunzio e Diego Gandolfo per l’inchiesta “Fondi rubati all’agricoltura” (guarda il trailer), vincitrice del Premio Roberto Morrione 2015. Dalle sue parole scorgiamo una interessante analisi della tecnica di insegnamento, che coinvolge anche le scuole e i master di giornalismo, la soddisfazione per il risultato del lavoro con il premio Morrione – con una inchiesta che a immagine di Report- e l’amarezza per una Rai che lascia sfuggire i giovani talenti.
- Come è andato il tutoraggio?
Non era la prima volta che vivevo esperienze di tutoraggio, ma la particolarità del premio Morrione è stato il fatto di essere l’unica referente per Alessandro e Diego. In altre occasioni formative, come corsi, scuole, master, siamo in molti a dare indicazioni, alle volte anche in contraddizione fra loro. Avere una sola di linea di insegnamento per certi versi potrebbe essere un dato negativo, ma, dall’altra, certamente confonde meno gli allievi. Sono convinta che, a prescindere dal fatto che piaccia oppure no il format giornalistico di riferimento del maestro, sia fondamentale avere un’unica voce. Con Alessandro e Diego è successo un po’ quello che anni prima, agli inizi, era successo a me seguendo l’impronta di Milena Gabanelli: hanno ricevuto un input, sono stati seguiti e hanno avuto l’occasione di applicare quello stimolo teorico alla loro inchiesta. Grazie a questa esperienza hanno toccato con mano cosa c’è dietro un’inchiesta di Report e hanno applicato lo standard del programma al loro lavoro.
- Le tue impressioni generali sull inchiesta?
Sono stati bravissimi. Quando ho visto il loro pre-momontato sono rimasta molto colpita perché non mi aspettavo quella qualità, sia di riprese sia di costruzione. Già dalla prima bozza che mi hanno sottoposto ho visto che l’inchiesta c’era. Ovviamente abbiamo dovuto limare alcuni aspetti, migliorarne altri, rivedere insieme alcuni passaggi narrativi, ma già dal premontato, già da quella prima fase di identificazione dei blocchi logici veniva fuori un’inchiesta di valore. La prima volta che ci siamo visti passammo tre ore insieme al montaggio e analizzammo alcuni aspetti pericolosi dal punto di vista giuridico che erano stati sottostimati. Sono dei giovani giornalisti e, giustamente per la loro età e per la loro giovane carriera, non hanno ancora chiare le insidie che possono nascondersi sotto una singola frase. Grazie al lavoro fatto insieme hanno capito cosa si può e cosa non si può dire, quando e come si può azzardare. Sono molto soddisfatta dell’inchiesta anche perché è a immagine e somiglianza di Report.
Sono due giornalisti, ragazzi molto in gamba, animati da una forte passione civile. Sono molto appassionati, ricettivi e hanno dimostrato una predisposizione positiva verso il mio modello di fare giornalismo, che è poi quello di Report. Hanno creduto molto nel loro progetto e lo hanno fatto con un’enorme umiltà. Dopo il primo incontro di lavoro salimmo in macchina insieme anche alla loro bravissima montatrice Paola D’Andrea. Si aspettavano un mio commento, un primo giudizio. Lessi sui loro volti molta tensione, molta attesa, quasi terrore per quello che stavo per dire. Fecero un balzo di felicità quando gli dissi, per la prima volta, proprio alla fine di quel primo incontro, che erano stati veramente bravi.
- Conoscevi Roberto Morrione?
C’eravamo incrociati al Premio Ilaria Alpi, ma non lo conoscevo personalmente, anche se avevo e ho grande stima per il suo lavoro. Ricordo che anni fa adottò, a differenza di molti altri e senza pregiudizi, il videogiornalismo alla “report” considerandolo una risorsa.
- Eri il tutor, ma c’è qualche cosa che hai imparato tu da questa esperienza?
E’ stata una bella esperienza umana incontrare due persone che si sono messe ad ascoltare senza filtri, ma con una chiara idea di inchiesta in testa, i suggerimenti che avevo da dare. Certamente porterò con me la grande soddisfazione della vittoria e la conferma che il metodo dell’insegnamento applicato ad un progetto sia vincente. Dimostrazione ne è stato il risultato: Alessandro e Diego sono riusciti a fare un lavoro da professionisti e “Fondi rubati all’agricoltura” è un prodotto all’altezza della produzione televisiva.
- Lasceresti l’inchiesta sul campo per dedicarti alla formazione le nuove generazioni di giornalisti?
Se la Rai avesse un progetto serio in questo senso, certamente mi dedicherei anche alla formazione. E’ un peccato che nel servizio pubblico dei giornalisti con grande esperienza non vengano valorizzati, considerati una risorsa e magari “integrati”. Le assunzioni a chiamata diretta in Rai esistono, ma per altri evidentemente più meritevoli di noi che da 20 anni realizziamo e produciamo inchieste. Noi siamo liberi professionisti e dobbiamo lavorare quindi non possiamo dedicarci a coltivare il talento dei più giovani, se non come ho fatto io per il premio Morrione. Noi tra qualche anno non ci saremo più, chi continuerà a scavare nei fatti e a informare i cittadini? Forse è proprio questo che vuole la classe dirigente, politica innanzitutto.
*Intervista a cura di Alessandra Tarquini