Jërëjëf e gli effetti di questo Premio su di noi. Diario dei finalisti della 9a edizione

di Martina FerlisiSarika StrobbeAmarilli Varesio 

“Marty…Sari…eccolo!” Amarilli ha pronunciato queste parole nel sonno, mentre si agitava tra le lenzuola, i capelli biondi appiccicati al viso, le parole impastate e lamentose. Glielo ha raccontato il suo ragazzo che dormiva accanto a lei. “Ama, Ama tutto bene?” Le ha chiesto lui, ma Amarilli dormiva profondamente e sognava grandi navi cariche di tonnellate e tonnellate di merci, eppure capaci di stare a galla nelle tempeste.

Martina un giorno ha avuto una crisi di immobilità. Non riusciva a fare altro che stare impietrita davanti al computer, come se si trovasse in un hotel capsulare di Hong Kong. Nessun movimento consentito, solo sbattere le ciglia, aprire e chiudere gli occhi.

Sarika sta sempre con la testa da un’altra parte, ma la storia e la mancanza di una vacanza al mare la tengono ancorata al progetto più forte dei suoi altri mondi.

Questi gli effetti del Premio Morrione dopo mesi di lavoro.
Ma adesso l’ultima clessidra è stata girata. Si dice che settembre sia la linea di partenza per un nuovo inizio, allora è arrivato il momento dei bilanci finali, dell’analisi del passato per comprendere meglio il presente e raccontare quello che per noi è stato questo Premio.

Se è vero che chi cerca trova, è altrettanto vero che chi trova molto raramente può vantare di possedere verità assolute. La realtà è fatta di sfumature e dissonanze che faticano a essere racchiuse in un unico
racconto con un solo punto di vista.
Ed è così che ci siamo rese conto che ogni volta che credevamo di essere arrivate al cuore della nostra inchiesta, c’era un pezzetto che si aggiungeva e ci interrogava a modo suo.

Abbiamo ricevuto tanti no, tante porte in faccia, tanti ostacoli che si sono intromessi tra noi e i nostri obiettivi, ma lavorare insieme significa anche condividere le difficoltà e la fatica di raggiungere una soluzione ottimale.
Abbiamo anche commesso degli numerosi errori, numerosi errori. Per inesperienza, per troppa fiducia, per ingenuità. Ma abbiamo poi imparato a dirci che è inutile rimuginare su quello che non si può cambiare, serve solo a perdere tempo. Bisogna andare avanti.

“Fai quel che devi, accada ciò che può”, diceva Roberto Morrione, colui che ha reso tutto questo possibile.
La ricerca è diventata talmente parte della nostra quotidianità che non riuscivamo a smettere di riflettere sull’inchiesta anche nei momenti di svago. I momenti di crisi non sono mancati e quando un giorno una
di noi (senza fare nomi) scrisse “sgombri” invece di “sgomberi”, certa che fosse proprio quella la parola giusta, abbiamo capito che era il momento di prenderci una bella vacanza e staccare per un attimo. Solo pochi giorni però, e rigorosamente con il computer in valigia.
Col passare delle settimane, il numero di documenti rinominati “Scaletta definitiva” sono arrivati a otto e solo grazie ai preziosi consigli della nostra tutor, Dina Lauricella possiamo quasi confermare di aver trovato una soluzione.
Il montaggio è avviato ma non ancora concluso, il tempo a nostra disposizione è poco ma dopo tutto questi mesi di lavoro, vedere l’inchiesta prendere forma è una soddisfazione che spinge a dare il massimo, fino all’ultimo. La nostra video maker Marta Lombardelli poi, ci è sempre di supporto.

Ripensando al tempo trascorso da giugno a oggi, nonostante i momenti di disorientamento e paura per non riuscire a trovare il modo più adatto per raccontare il fenomeno che stavamo esplorando, siamo grate di quanto questo Premio ci abbia permesso di allenare la nostra capacità di sintesi, imparare a lavorare in gruppo e mediare i bisogni di tutti per mantenere un clima di armonia, riflettere su questioni etiche e soluzioni pratiche, ricevere l’aiuto e il supporto di persone valide e molto competenti.
Convinte che solo sbattendo il naso contro i propri limiti si può provare ad avanzare, approfittiamo per ringraziare tutti coloro che ci hanno dato fiducia e permettono al Premio Morrione di accadere con un grande “Jërëjëf” (grazie in wolof).