Le mani sul Fiume, il pentito Marino: la ‘ndrangheta voleva “sistemare” Donato Ungaro. Aggiornamento sull’inchiesta

di Giulia Paltrinieri

“A Reggio Emilia si doveva sistemare un assessore comunale per un piano regolatore e un giornalista che dava fastidio, il dottore Ungaro.”

24 luglio 2020, Aula Bachelet della Corte d’Appello di Bologna. A parlare è il collaboratore di giustizia Vincenzo Marino, uomo di ‘ndrangheta e membro della cosca crotonese Vrenna-Bonaventura, interrogato in video-conferenza da una località protetta dal sostituto procuratore generale Nicola Proto. “Il dottore Ungaro”, invece, è Donato Ungaro: l’ex vigile urbano e giornalista di Brescello, che aveva raccontato la sua storia ne Le mani sul Fiume, il webdoc vincitore della sesta edizione del Premio Morrione sul tema degli scavi di sabbia lungo il corso del Po.

Marino risponde alle domande della Procura su un incontro avvenuto nel 2004 per discutere di quello “che si doveva fare, di quello che non si doveva fare e per quanto riguarda gli affari che c’erano là a Reggio Emilia.” Affari che, ammette il testimone di Crotone, avevano a che fare con l’edilizia.Avevamo una pratica da sistemare, infatti io gli dissi a Gualtieri che se l’assessore non firmava lo ammazzavamo. (…) Anche il giornalista, il giornalista che si stava occupando di cose molto serie, Dottore, stava cominciando a toccare i soldi.” Alla domanda del sostituto procuratore su che intervento dovesse sbloccare l’assessore in questione, Marino risponde deciso: “Doveva mettere delle firme, Dottò, per concedere degli appalti e dei cantieri, doveva mettere delle firme sui piani regolatori e dare l’ok per aprire dei cantieri.” A riportare gli stralci dei verbali è lo stesso Ungaro, che racconta quanto emerso in udienza su Articolo 21.

Ma di quali cose “molto serie” si stava occupando il vigile-giornalista di Brescello e quali soldi stava iniziando a “toccare”? Marino non lo dice. Ma racconta di un incontro al quale ha partecipato nel 2004 e di affari che riguardano l’edilizia. E i primi anni Duemila (insieme alla fine degli anni Novanta), lo aveva raccontato proprio Le mani sul Fiume, sono gli anni del boom delle costruzioni, degli scavi selvaggi e del controllo del mercato degli inerti da parte dei clan. La sabbia del Po, finissima per le costruzioni, fa gola a molti. Soprattutto alle organizzazioni criminali, che cercano materia prima da piazzare ai costruttori a prezzi ribassati. E anche di questo si occupava Ungaro da cronista locale, mentre la stampa e le tv nazionali iniziavano ad arrivare sul posto per occuparsi delle estrazioni intensive dal fiume.

Insomma, ora rimangono molte domande. Cosa aveva scritto il “dottore Ungaro” per finire nella lista nera di un personaggio che – dice di se stesso Marino – “facevo ammazzare li cristiani”? E perché, fortunatamente, a un certo punto gli ordini sono stati diversi e i piani sono cambiati? Ora, commenta Ungaro, bisogna fermarsi “per permettere, a chi può averne interesse, di valutare la situazione e decidere sul da farsi. Su certi fatti si può indagare, per trovare riscontri che permettano di aprire scenari nuovi. Oppure si può dimenticare tutto. Alla fine, quello che doveva succedere non è successo.”

Un ultimo aggiornamento. A luglio la Cassazione ha confermato le condanne in Appello per le minacce di stampo mafioso subite da Catia Silva, ex consigliera comunale di Brescello che in questa sezione del webodc ci aveva accompagnato in alcune cave in disuso e raccontato di sversamenti abusivi di rifiuti. Per le intimidazioni che ricevette nel 2009, sono stati condannati in via definitiva Salvatore Grande Aracri (nipote del boss Nicolino) all’epoca dei fatti incensurato, poi arrestato con operazione Grimilde, e Alfonso Diletto già agli arresti col processo Aemilia.