di Sara Del Dot, Stefania Pianu, Sara Stradiotti*
Ci fa sorridere ogni volta pensare al fatto che tutto è cominciato da un video di presentazione troppo giallo e tante domande fatte a caso sperando di fare centro.
Ancora di più, fa sorridere come per noi sia diventata un’attività quasi quotidiana uscire di casa, prendere la macchina, l’autobus, la bicicletta per riprendere, fotografare o solo contemplare in silenzio case.
Case grandi e brutte, con i muri scrostati e mattoni al posto di porte e finestre, e tre ragazze che le osservano e ne discutono animatamente quasi fossero opere d’arte appese in un museo.
Edifici immensi e abbandonati che, non abituati a improvvisi visitatori, nel totale silenzio si lasciano scappare un colpo di tosse.
Vecchie signore in appartamenti piccoli dai muri sottili che si lamentano del rumore che gli occupanti abusivi della porta accanto fanno la notte.
Già dopo qualche settimana di lavoro, per noi ogni casa aveva una storia da percorrere e una voce da ascoltare.
E la silenziosa felicità quando qualcuno finalmente diceva “d’accordo, seguitemi, adesso vi faccio vedere”. La timidezza dell’inesperienza da combattere e poi, con un filo di voce, vincere, quando fare domande scomode era impensabile tuttavia necessario, perché “non possiamo andarcene senza averglielo chiesto”.
Inizialmente, l’emergenza abitativa era come un gran brusìo. Un suono forte, che rimbombava nei periferici quartieri senza portici, ma si insinuava anche tra le belle vie del centro, un po’ mascherato forse dalle voci di turisti e studenti. Ora le singole voci si sono rese più limpide e distinte, e, oltre a capire ciò che dicono, le riconosciamo e le chiamiamo per nome.
Così, adesso, in fase di assemblaggio del materiale, re-incontriamo i protagonisti della nostra inchiesta. Così ricostruiamo le loro avventure cercando di individuare il cattivo della storia.
Ma l’emergenza abitativa non è una fiaba per bambini, e i ruoli di tutti non sono così ben definiti all’interno della narrazione. Non si comincia con “C’era una volta”, ma con “Che ne sarà di me domani”, e i luoghi non sono paesini di campagna e foreste incantate, ma enormi case tutte uguali con finestre sgangherate, con qualche (rara) variazione sul tema.
Insomma, ci avviciniamo alla fine. E Sara in libreria prende in considerazione una lettura di piacere intitolata “Gli Sfrattati”, manifestando il fatto che la situazione forse ci sta emotivamente sfuggendo di mano.
* finaliste del premio Morrione 2016 con il progetto di inchiesta “Le altre case di Bologna”. Tutor Valerio Cataldi.