Per fare una inchiesta ci vuole precisione chirurgica. Intervista al tutor Cataldo Ciccolella

Asia e logica aristotelica sono due degli amori del tutor Cataldo Ciccolella, giornalista di Report. Insieme al collega Giulio Valesini, seguirà uno dei gruppi in finale nella categoria video inchiesta (Cecilia FascianiAndrea GiagnorioSofia Nardacchione).

Arrivato in Rai nel 2007, si è sempre occupato di informazione. Dal 2010 è a Report, dove raccoglie e analizza le segnalazioni e si occupa di investigazioni economiche e inchieste internazionali, anche collaborando con i consorzi Icij, Occrp ed Ebu.

Anche a lui abbiamo rivolto sei domande per capire la sua idea di giornalismo e come sta accompagnando i finalisti nella realizzazione del loro progetto di inchiesta.

Perché hai accettato il ruolo di tutor del Premio Morrione? Che cosa significa per te?
L’ho accettato perché, avendo ricevuto molto da dei maestri di prima classe come Sigfrido Ranucci, Milena Gabanelli e Paolo Mondani, sento il dovere di restituire qualcosa. Per me significa prima di tutto trasmettere passione per il lavoro ben fatto.

Cosa ti aspetti dagli under 30 in finale di questa edizione?
In primis la passione e la volontà di lavorare sodo. Quindi la disposizione ad ascoltare i consigli e a imparare facendo. Infine la capacità di fare inchiesta raccontando onestamente ciò che si trova nella realtà senza sovrapporvi la propria lente ideologica.

Quando hai capito che il giornalismo sarebbe stato il tuo mestiere?
Io ho mosso i primi passi nel mondo del cinema, ma quando ho iniziato a lavorare a Report mi sono reso conto che la realtà è molto più intrigante di un film o di una delle molte sopravvalutate serie di Netflix. Lavorando molto sulla raccolta di segnalazioni, che spesso sono anche un urlo di dolore e di richiesta di giustizia della gente, ho iniziato a sentire quasi l’obbligo di fare giornalismo di servizio. E allora ho capito che non era il mestiere che mi ero scelto, ma quello che ero chiamato a fare.

Quale consiglio su tutti ti senti di dare agli under30 che stanno il progetto d’inchiesta insieme a te e Giulio Valesini?
Di lavorare con grande precisione. Studiare, analizzare, comprendere a fondo, non semplificare. Il bravo inchiestista non è quello che la spara grossa, ma è quello che la spara colpendo chirurgicamente il segno. Il secondo consiglio è di rispettare – non mostrificare mai – quegli individui che nel racconto dell’inchiesta sono “i cattivi”. Bisogna mostrarne le contraddizioni e intervistarli in modo puntuto ma senza mai far venire meno il rispetto.

C’è un’inchiesta che consideri un esempio da seguire? Quale e perché?
Evidentemente le inchieste di ICIJ e OCCRP a partire dai Panama Papers e poi le filiazioni Paradise Papers e Pandora Papers. I Panama Papers sono stati uno spartiacque nella storia del giornalismo. Alla globalizzazione di capitali, elusione fiscale e crimine si è contrapposta la globalizzazione collaborativa di centinaia di giornalisti sparsi per il mondo. I colleghi che hanno fatto i Panama hanno fatto uno scoop mondiale ma lo hanno fatto con un rigore deontologico e una qualità del lavoro di verifica documentale senza eguali.

Che libro consigliereste di leggere a chi vuole fare del giornalismo il proprio mestiere?
Non citerei un libro in particolare, ma direi in generale: libri di economia aziendale, storia e filosofia. Perché senza basi solide non si va da nessuna parte.