di Lorenzo Pirovano e Giovanni Sacchi
Nelle ultime settimane le strade semideserte delle principali città italiane hanno reso ancora più visibile il lavoro di migliaia di fattorini in bicicletta, punta dell’iceberg della cosiddetta “gig economy” in Italia e nel mondo. Se infatti la maggior parte dei negozi e dei ristoranti rimane chiusa (circa il 90 per cento, ha detto al Post Luciano Sbraga di FIPE) le corse dei “rider” non si sono mai fermate nonostante l’emergenza legata alla diffusione del virus covid-19.
Nel 2018 i rider erano stati tra i protagonisti del nostro web doc d’inchiesta “Welcome to your gig” vincitore del Premio Roberto Morrione per il giornalismo investigativo. Da allora abbiamo cercato di continuare a monitorare regolarmente la situazione dei lavoratori della gig economy in Italia, nonostante l’attenzione del mondo politico alla questione si sia dimostrata spesso alterna.
Milioni di persone costrette in casa e movimenti limitati per le strade sono la ricetta perfetta per un boom nelle consegne a domicilio, registrato già dalla grande distribuzione e confermato dagli ultimi dati rilasciati dalla spagnola Glovo, impresa nata in Spagna e tra i leader del settore della consegna a domicilio.
Glovo, che consegna piatti pronti, spese e beni da un punto all’altro delle città, ha riportato tra i mesi di febbraio e marzo 2020 un aumento degli ordini del 300% rispetto a un normale periodo senza l’emergenza covid-19.
Ristoranti e catene di fast food – ma anche gastronomie e negozi “classici” – si stanno infatti ri-organizzando in modalità “solo consegne” e le stesse imprese di food delivery hanno messo in piedi “cookhouse” per la preparazione di piatti pronti (cucine centralizzate in cui vengono preparati cibi che sull’applicazione appaiono di differenti “marchi”).
Il Centro Studi FIPE a marzo aveva denunciato il tentativo da parte di alcune app di aumentare, in occasione dell’emergenza covid-19, le commissioni a carico dei pochi ristoranti rimasti aperti fino al 40%
Per tutti i rider che affollano le strade (a Milano, la città italiana con più fattorini attivi, le stime del Comune parlano di circa 3000 lavoratori) la qualità del lavoro però non può dirsi migliorata, anche perchè i più fortunati hanno atteso settimane prima di vedersi consegnare i primi dispositivi di protezione individuale (offerte dal Comune e in alcuni casi dalle imprese per cui lavorano).
fai un giro con i rider – GUARDA L’INCHIESTA SU RAINEWS24.IT
A Bologna, Firenze e nel Lazio sono stati invece i tribunali a interrompere il silenzio delle piattaforme, imponendo loro la consegna di guanti e mascherine ai propri fattorini, anche se i vari sindacati autorganizzati denunciano misure ancora insufficienti.
Deliveroo ha comunicato ai rider la possibilità di accedere a un rimborso fino a 25 € per l’acquisto di prodotti sanitari come disinfettanti per le mani e mascherine. Anche le modalità della consegna sono cambiate, con la possibilità della consegna senza contatto, richiedibile dal cliente o dal fattorino, che lascerà in questo caso il cibo davanti alla porta mantenendosi a una distanza di sicurezza mentre il cliente la ritira.
Molti di loro si trovano spesso in gran numero ad attendere cibo fuori da ristoranti popolari sulla piattaforma, creando code e assembramento, e la necessità di raggiungere la città grazie ai trasporti pubblici, soprattutto a Milano, continua ad essere un problema. Dopo la richiesta della Regione di bloccare i mezzi, il Comune ha comunque deciso di lasciarli aperti per garantire il servizio ai lavoratori e ai cittadini che dovessero raggiungere le strutture sanitarie.
Intorno ai giorni di Pasqua un video registrato da un treno in transito per la stazione di Milano Domodossola mostrava decine di fattorini in attesa di caricare le loro biciclette e gli zaini termici, molto probabilmente per tornare alle loro abitazioni o ai centri d’accoglienza disseminati nell’hinterland. La maggior parte dei fattorini in bicicletta attivi a Milano sono infatti di origine migrante (ci eravamo occupati del loro lavoro per Il Fatto Quotidiano e Open Migration).
Come riportato in un articolo del New York Times, la situazione dei gig workers negli Stati Uniti ha molti tratti in comune con quella italiana. Mentre compagnie come Uber e DoorDash si sono fatte avanti e promosse come venditrici di lavoro flessibile fondamentale per aiutare i lavoratori in questo periodo di crisi economica, diverse interviste hanno dimostrato tutto il contrario.
Infatti, mentre il contagio prendeva piede, i guadagni dei gig workers sono crollati e molti sono disillusi e arrabbiati a causa della mancanza di un’assicurazione sanitaria.
Molti altri lavoratori sono in crisi a causa dei licenziamenti dovuti al virus, ma anche se le agenzie di sicurezza sanitaria nazionale continuano a raccomandare isolamento e mantenimento delle distanze, i gig workers sono costretti a lavorare e a interagire con altri per potersi pagare le bollette.
I sindacati chiedono la sospensione del servizio e un reddito garantito per i lavoratori, ma al momento questa possibilità non sembra poter essere messa in pratica a breve e i rider continuano a cercare di lavorare il più possibile.
La gig economy quindi non si ferma nemmeno davanti al virus, e il peso di garantire dei servizi utili alla collettività, torna a gravare sui lavoratori delle piattaforme, costretti a essere in strada per poter guadagnare, con garanzie di sicurezza sia sanitaria che economica, sempre più in bilico.