di Francesca Sapio e Caterina Tarquini
Lavorare ad un’inchiesta è come scomporre una matriosca. In una bambola di legno ve ne è una più piccola, che ne contiene a sua volta un’altra, ancora più piccola della seconda, e così via.
Approfondendo una questione iniziale, ne emergono delle altre: a volte, si tratta di problematiche che non avevamo considerato in un primo momento oppure che non conoscevamo affatto.
Un’intervista, anche la più prevedibile, può porre nuovi interrogativi e offrire possibili contatti. È una tela complessa che mano a mano si infittisce e occorre concentrarsi su alcuni fili in particolare per evitare di perdersi o di aggrovigliare tutto.
In questi mesi, mentre il nostro progetto prende lentamente forma, stiamo scoprendo che non è sempre facile rimanere coerenti con le proprie idee. Può capitare che si cominci con una certa visione, per poi scoprire punti di vista inaspettati. Stiamo cercando di accogliere la complessità, includendo tutte le alternative possibili ed evitando di incorrere in preconcetti o giudizi affrettati.
A questa difficoltà se ne aggiungono delle altre naturalmente. Per esempio, far conciliare tempi, impegni e scadenze. Spesso, per riuscirci, ci si ritrova a lavorare la sera o nel weekend.
Uno dei momenti più belli, invece, è quando, dopo una giornata di call o riprese, ci sediamo una di fronte all’altra per un caffè o un aperitivo. Anche in quel ritaglio di tempo, essenziale per nutrire l’entusiasmo e la curiosità, è difficile non parlare di lavoro: spesso finiamo per discutere delle ultime novità, dei risvolti che ci sono stati o dei prossimi passi da compiere (è proprio davanti a uno spritz che vengono le idee migliori!).
Alla fine, però, accantoniamo il progetto e chiacchieriamo del più e del meno, di tutto ciò che non riusciamo a raccontarci in altri momenti. Come facevamo al liceo.
È strano pensare alle coincidenze che ci hanno fatto incontrare di nuovo, a distanza di tempo. Abbiamo scoperto solo anni dopo il filo rosso invisibile che ci ha sempre legato l’una all’altra: la passione per quelle storie i cui protagonisti non hanno voce.