di Leonardo Filippi, Maurizio Franco, Maria Panariello*
È argento liquido il mare della Capitanata. A Bari, invece, il centro storico è un tutt’uno con la spuma delle acque. Il tufo bianco dei muraglioni della chiesa di San Nicola e i fondali verdastri dell’Adriatico…
“Se Parigi avesse lu mere, sarebbe una piccola Beri”, aggiungiamoci anche un bel piatto di riso, patate e cozze una passeggiata, sgargarozzando un vinello, il panzerotto che suda, “sto murenn e famm”, mentre friggono ‘scagliuzze’ e l’olio si appassisce con la pastella.
Abbiamo viaggiato in lungo e in largo nella città metropolitana di Bari, nelle sue campagne, che dentro l’obiettivo della macchina risplendono di luce propria. Abbiamo mangiato pesche grosse come cocomeri e un frutto che aveva la forma di un melone e il sapore di un cetriolo.
“Si chiama Carosello”, il contadino, porgendocene un pezzo grondante di succo.
E pensare che il giorno prima il treno non arrivava più. Partiti da Roma la mattina, abbiamo capito di essere giunti in Puglia, quando il treno ha attraversato distese di olivi e vigneti. Ad accoglierci, grappoli d’uva grossi come olive, interi terreni che “che si perdevano nel mare, intrecciati all’uva” (mettete una “c” un po’ scivolosa, l’accento succinto e sentirete un pontremolese parlare).
Un romano di provincia (burino in gergo), una napoletana e un toscano della Lunigiana (perfetta dizione, pochi strascichi, l’italiano è di casa), suona come una barzelletta. Tenetelo a mente, senza questo dettaglio biografico non potete comprendere a pieno il fine della nostra inchiesta. Tre mondi apparentemente differenti, incorniciati in un’unica nazione. Tre spaccati di realtà che tentano di ricostruire una complessità eterogenea. Che fare a proposito?
Vogliamo infatti indagare, conoscere ciò che l’Italia ci offre. Dal Nord al Sud, vogliamo scartabellare ciò che unifica il nostro paese, al di là del cibo e delle buone maniere, vogliamo focalizzarci su ciò che ci caratterizza, nonostante le nostre apparenti differenze. Vogliamo parlare allora dello sfruttamento in quanto tale, vogliamo demistificare, con fatti e dati alla mano, le dolci narrazioni di un Potere che ci vuole divisi, diversi per forza, uno in opposizione all’altro. Fare il giornalista è un lavoro che unifica e diversifica, “ognuno poi fa le sue scelte”.
Cosa abbiamo imparato da questo lungo viaggio? Che fare informazione, essere giornalisti o ambire ad essere tali, significa sgonfiare le bolle mediatiche, dare voce a chi non ne ha o a chi avrebbe tanto da dire, ma non lo fa, con un megafono, un microfono, registrare le parole e ripeterle all’infinito, imprimerle in 25 minuti di video. Abbiamo imparato che l’approssimazione, che le mezze verità, gli stereotipi, sono il male assoluto del nostro lavoro.
“Ognuno fa le sue scelte!” è una frase che abbiamo sentito spesso in questi mesi, viaggiando per un ‘Italia apparentemente divisa. Noi abbiamo scelto di raccontare un’altra storia.
*finaliste del premio Morrione 2016 con il progetto di inchiesta “Le catene della distribuzione. Tutor Toni Capuozzo