di Giulia Elia*
Non so bene da dove cominciare a tracciare l’ultima linea dell’inchiesta.
Di una cosa sono certa: in questi mesi ho imparato tantissimo, anche se prima di riuscire a elaborare tutto, il tempo dovrà fare il suo lavoro.
Mi guardo indietro e mi vedo correre proprio alla fine: più la scadenza si avvicinava più i dubbi aumentavano, e in questo modo mi rendevo conto di cosa effettivamente servisse, di cosa mancasse, di cosa invece c’era ed era efficace.
Ho imparato che un’inchiesta televisiva è più che mai un lavoro collettivo, un lavoro di squadra. Che metà lavoro si fa al montaggio.
Il montaggio: è lì che comincia per davvero il racconto, lì che prende forma la scrittura. Ed è lì che mi sono sorpresa a trovarmi sprovvista di un’idea precisa di come avrei sviluppato il pezzo: avevo certo chiaro quello di cui volevo parlare, ma come collegare i blocchi narrativi tra di loro? Come passare da una storia all’altra, dalle terapie ai fondi per l’Hiv? Come spiegare quei pochi ed essenziali concetti in modo semplice e il più ficcante possibile? Se in venti minuti non si può dire tutto, come sopportare e rassegnarsi all’idea di dover selezionare e lasciare fuori così tanto altro? Come migliorare quegli odiosi speech che scandisco per la prima volta?
Poi accadono gli imprevisti: la pazienza spesso non paga, e così ti sfuma con censura l’ultima intervista, la più interessante, quella del protagonista.
Ma se prendo troppo male le infinite attese e i pareri sfavorevoli immotivati e mai ufficializzati, ecco che mi arrivano parole bellissime: “A volte si vince, a volte si perde: non bisogna viverla come una sconfitta se ci dicono di no, ma bisogna viverla come una cosa che hai fatto con grande tenacia e che ti porterai dietro sempre. Se dovesse andare male, hai fatto il meglio che potevi fare, quindi non avrai nessun rimpianto. Anzi, avrai imparato che hai molto più potere e molta più energia di quanto immaginavi.”
Nel frattempo, mi sono dimenticata del parere legale dall’Avvocato e tutor del premio Morrione: devo inserire un “contraddittorio“. Pensavo di aver finito con le riprese un mese fa, e invece no. Le ultime interviste di metà lugli
o mi insegnano che devo essere spietata, non devo mai avere pietà, e devo esercitarmi a dare risposte più pronte, sempre. Non c’è il tempo di pensarci dopo.
I giorni si rincorrono piano nel caldo torrido di Roma mentre io sto perdendo l’entusiasmo iniziale, e abbraccio la tentazione di accontentarmi: in colpa per i tecnici che non trovo e i tempi che si allungano in modo insostenibile, una mattina al montaggio dico che ‘Male che va ci arrangiamo, e se non riusciamo ad avere le grafiche in qualche modo lo copriamo con quello che abbiamo’. Dopo qualche ora mi arriva la risposta, un piccolo rimprovero, che è l’insegnamento forse più importante di tutti:
“Prima hai detto una cosa che non va bene. Se sei stanca, non devi mollare adesso. Il lavoro bisogna farlo sempre al meglio, bisogna fare sempre il massimo che si può fare. Le grafiche qui servono e dobbiamo trovare il modo di metterle.”
Senza dubbio quando si inciampa nelle difficoltà di questo lavoro si scoprono luoghi nuovi e a volte meravigliosi, e se ne può fare tesoro: gli intoppi mi spianano la strada per le prossime sfide. Le cose da migliorare ci saranno sempre, i dubbi anche. Quelli “sono fondamentali, ed è sempre bene che ci siano”. Per ora va bene così e metto un punto, traccio un cerchio. È importante chiudere cerchi e aprirne di nuovi: bisogna avere il coraggio di farlo.
*Giulia Elia é finalista della sesta edizione del Premio Morrione con il progetto di video inchiesta “Tabù HIV”. Tutor Pablo Trincia