di Federico Marconi e Giorgio Saracino
La data è segnata in rosso sul calendario: 2 luglio. Si parte. Un ultimo controllo all’attrezzatura: le telecamere ci sono tutte, il drone è carico, i microfoni pure, in ogni caso di batterie ne abbiamo in abbondanza, sia mai dovessero finire. E poi ci sono i dossier e i quaderni, che si sono riempiti di appunti nelle ultime settimane. Mentre carichiamo la macchina, Giorgio tira fuori un ciak, rimediato per l’occasione: “Non poteva mancare”.
Saliamo in macchina e via, si parte: destinazione Milano, la nostra prima tappa. Dopo tanti mesi difficili, tornare a viaggiare per lavoro è quasi una liberazione. E poi c’è quell’euforia nell’aria tipica delle avventure che stanno per cominciare: finalmente possiamo iniziare a lavorare alla nostra inchiesta per il premio Morrione.
Come tutte le cose, anche il nostro progetto si è dovuto adattare alla pandemia, che ha stravolto le priorità di tutto e l’idea su come lavoravamo non ha fatto eccezione. Ma tra trasferte annullate, altre rimandate, e nuove storie da valutare, il da fare non manca. A noi come a Giorgio Mottola, il nostro tutor, che tra telefonate, Skype e WhatsApp, ci fa sempre arrivare il giusto consiglio.
Il viaggio in macchina è l’occasione per fare il punto, ripetere da dove partiamo e dove vogliamo arrivare. E per ripassare temi e domande per le prime interviste del giorno dopo. Milano dopo l’epidemia non è la città che ricordavamo e la prima impressione ci lascia un po’ col fiato sospeso. Non c’è la frenesia che ricordavamo, e mentre camminiamo cercando il posto giusto per iniziare a riprendere non c’è bisogno di fare lo slalom tra la gente.
Poi un tramonto, una chiacchierata e a letto presto, perché finalmente si comincia, davvero.