Solo in viaggio un reporter si sente se stesso. Diario dei finalisti della 8a edizione

di Maurizio FrancoMatteo Garavoglia, Ruggero Scotti

Il mio massimo desiderio, quello che più mi turbava, tentava e attraeva, era di per sé estremamente modesto: la pura e semplice azione di varcare la frontiera.” Con queste parole il grande giornalista polacco Ryszard Kapuściński inizia il suo libro “Viaggio con Erodoto”. Mentre uno di noi lo sta leggendo sul sedile di dietro gli altri due decidono che con queste parole è opportuno iniziare questo nuovo resoconto del nostro viaggio. Siamo infatti approdati alla fase del mestiere che più si fa con i piedi, quella fase fatta di incontri con le persone e le loro storie.

In questo ultimo mese, bruciati da temperature proibitive e sfiancanti, abbiamo ascoltato con attenzione le ragioni di decine fra cittadini, associazioni e istituzioni guidati dal desiderio di attraversare la frontiera dei fatti; metaforicamente ci siamo spostati da Roma sull’unico mezzo che deve imparare a padroneggiare chi vuole fare per bene questo lavoro, la domanda, ma in realtà abbiamo visitato il Sud e il Nord del Paese muovendoci in auto e in treno. Sempre secondo il più celebre dei reporter europei, sono proprio i luoghi del viaggio – nel nostro caso autogrill e stazioni – quelli che più incarnano il grado di civiltà di un paese e stazione per stazione davvero non si può fare a meno di notare le differenze e le difficoltà che vivono ogni giorno milioni di cittadini italiani costretti a spostarsi per vivere. Se ne discute fra noi e ci si interroga persino più delle cose che abbiamo da fare.

Joseph Pulitzer diceva di amare i reporter perché loro sono la speranza del giornalismo (“Sono semmai i direttori la delusione). Diventati inviati speciali per qualche ora, abbiamo raggiunto le nostre persone e ora custodiamo le loro storie: anche sulla strada medesima, non è mai uguale il sole che batte sul tempo della partenza e su quello del ritorno. Nelle pagine più belle del libro si può leggere che “la curiosità del mondo, il desiderio di esserci, di vedere ogni cosa a ogni costo e sperimentare tutto di persona… il viaggio è la ricchezza, la fonte, il tesoro. Solo in viaggio un reporter si sente se stesso e a casa propria”.

Tornati a Roma dopo l’ultima delle trasferte ci siamo resi conto che siamo ormai quasi alla fine del nostro viaggio per il Premio Morrione e per il nostro gruppo come la fine tenga in scacco ogni mossa durante il percorso quotidiano inizia a diventare qualcosa di serio con cui dover fare i conti.

La data di consegna del materiale e si avvicina e anche se dopo averne parlato molto siamo più tranquilli di qualche settimana fa, a volte vince la sensazione di aver tralasciato qualcosa, di poter far meglio alcune cose se solo si potesse tornare indietro. Tutto normale, la nostra missione, qualsiasi sia il linguaggio scelto è sempre quella della letteratura da corsa: tutte le notizie, brutte, maledette e subito. Decine e decine di interviste vanno rese chiare e ben argomentate nei tempi dei media sociali, e questa è una sfida ancora più profonda di quella con la quale questo mestiere si è sempre misurato. Stiamo semplificando troppo? Davvero si poteva fare a meno di quel pezzo che abbiamo deciso di tagliare? Ci ripetiamo sempre di non perdere mai la dimensione di insieme; pur dando dignità e compiutezza a ogni singola clip, dobbiamo fare in modo di far emergere con chiarezza il senso della nostra inchiesta nella pluralità di voci e dati raccolti.

Grandangolo e zoom devono ballare una danza armoniosa, accompagnati dalle grafiche e dalle funzioni di interazione, fondamentali in un tipo di progetto innovativo come quello che ci apprestiamo a consegnare per veder pubblicato o, in altre parole, per veder finalmente realizzato l’incontro con l’altro: lo scopo finale di ogni viaggio, anche del nostro.