Andare avanti, nonostante tutto. Diario delle finaliste Ferri e Ventre

di Antonia Ferri e Arianna Egle Ventre

Sono le 23:30 di venerdì sera. Siamo appena salite sull’autobus e ci aspettano varie ore di
viaggio, fino al mattino. Abbiamo spostato la nostra partenza innumerevoli volte. Non a
causa di interviste cancellate né per altri imprevisti lavorativi. Succede spesso, ma non
questa volta. Questa volta abbiamo dovuto incastrare il dolore di una perdita con la vita
lavorativa. Avremmo avuto bisogno di fermarci, prendere un respiro, lo sappiamo. Forse
avremmo dovuto farlo? Come? Ci guardiamo: la testa appoggiata sullo schienale del sedile, abbiamo entrambe un sorriso stanco.

Fin dove dobbiamo spingerci? Dobbiamo davvero arrivare fino ai nostri limiti? Possiamo fermarci? Dormiamo scomode, dopo un mese ancora più scomodo che ci pesa sulle spalle.

Amiamo il nostro lavoro, amiamo il nostro progetto. Anche quando scendiamo dal bus, occhi gonfi e schiena dolorante, ci chiediamo come stiamo. Dobbiamo prenderci cura di noi, della nostra salute psicologica, ma mentre ce lo diciamo la consapevolezza delle difficoltà del giornalismo indipendente lasciano le parole sospese in aria. Difficoltà per molti versi intrinseche al tipo di lavoro, ma sentiamo la rabbia di un discorso ben più ampio. Precariato, mancanza di progettualità, incertezza, ansia, assenza di tutele legali e non solo. Vogliamo fare il nostro lavoro, lo faremo e lo stiamo facendo. Non sappiamo quale sia un modo sostenibile per continuare. È una domanda che ci martella in questi giorni complessi, di rinvii e ostacoli.

Cerchiamo lentezza, profondità. E soprattutto una collettività per farlo insieme e in
modo collaborativo, che sfidi quel mondo del precariato in cui ci muoviamo quotidianamente. Perché tutelarci vuol dire anche pensare a un giornalismo non competitivo, a una rete di persone pronte a supportarsi l’una con l’altra. A partire da noi, dal nostro tutor, dalle altre squadre e da tante altrə giornalistə.