Scalzare i dinosauri, nuove piattaforme e giornalismo collaborativo. Intervista al tutor Lorenzo Di Pietro

Inviato del programma Agorà di Rai Tre e membro dell’associazione di giornalismo investigativo Irpi, Lorenzo Di Pietro è nella squadra dei tutor della dodicesima edizione del nostro premio. A lui il compito di supportare con la sua esperienza la finalista della categoria multimediale Francesca Trinchini nella realizzazione del suo progetto investigativo. Come Suber e Pusceddu, anche Di Pietro è al suo secondo mandato, in questa intervista continuiamo a conoscerlo e comprendiamo la sua idea di giornalismo.

  • Hai accettato di nuovo di essere nella squadra dei tutor. Come vivrai questo “secondo mandato”? 

Avete mai letto un annuncio di lavoro per giornalisti? Nei paesi anglosassoni sono la norma per assumere un giornalista, dal redattore fino al direttore. In Italia, dove la meritocrazia non è un valore, anche nel giornalismo ci si muove per contatti diretti. Ripensando ai miei primi passi mi rendo conto di essere stato fortunato, ad aver potuto imparare qualcosa grazie a quei decani pazienti che hanno avuto l’altruismo di indirizzarmi, consigliarmi e correggermi ogni volta che ne ho avuto bisogno (e ne ho ancora bisogno!). In nessun Paese più che in Italia è necessario dunque questo premio giornalistico meritocratico per eccellenza, intitolato non a caso alla memoria del grande giornalista e fondatore di Rai News Roberto Morrione, noto anche per la sua apertura ai giovani colleghi. Il premio che pesa le idee e la qualità dei progetti e dà ai giornalisti under 30 la “canna da pesca” per realizzarli. Per me quindi è un privilegio poter tornare come tutor ad accompagnare i partecipanti lungo questo percorso, un’opportunità per restituire un po’ di ciò che ho ricevuto. Questo secondo “mandato” lo vivrò dunque con lo stesso spirito di servizio, mettendo in comune quel che posso, ma alla luce del momento che stiamo vivendo, vorrei spronare con ancora maggiore convincimento i partecipanti a fare dell’inchiesta la loro professione.

  • Cosa ti aspetti questa volta dagli under 30 giunti in finale?

Il mondo è in rapida trasformazione, ma le regole di base e i valori del buon giornalismo non sono cambiati, per cui la mia esortazione ai partecipanti al premio Morrione è quella di sempre: rigore, indipendenza, integrità. Mi aspetto che non diano nulla per scontato, che “vadano a vedere”, che non si innamorino delle proprie tesi, ma anzi le confutino, sempre pronti a ricominciare. Più di ogni altra cosa però, mi aspetto che non abbiano timori reverenziali verso il potere e che facciano sempre del proprio meglio a prescindere dalle conseguenze.

  • Guardando al giornalismo di inchiesta, secondo te, ci sono dei mutamenti, delle sfide nuove che i giovani under 30 dovrebbero considerare?

Da un po’ di anni ormai siamo alle prese con gli interrogativi sulle nuove sfide del giornalismo, da quando lo tsunami del web 2.0 ha travolto le nostre abitudini e il modo di produrre e di fruire le notizie. È un percorso ancora in evoluzione che non sappiamo dove condurrà, sappiamo solo cosa ci siamo lasciati alle spalle e possiamo dire che non tutto era da conservare. Questo processo non riguarda solo la carta stampata, la prima ad essere colpita, anche chi fa inchiesta video deve interrogarsi, perché l’età media di chi guarda la tv aumenta inesorabilmente. Quindi ai giovani consiglio di guardare attentamente alle nuove piattaforme, al giornalismo collaborativo e transnazionale. Devono essere versatili, saper pensare un’inchiesta per diversi formati e linguaggi: il video, il podcast, le piattaforme social, le app per cellulari, l’esperienza interattiva. Bisogna saper lavorare con i dati, con le immagini satellitari, imparare a programmare. Le nostre aziende editoriali non sono ancora alfabetizzate e anche il nostro Ordine mostra una certa allergia all’idea che nelle scuole di giornalismo si insegni la programmazione – che in altri paesi ha piena cittadinanza delle migliori università dove si studia da giornalisti -. Questo perché le aziende editoriali e le sovrastrutture dell’informazione sono spesso dirette da dinosauri. I giovani devono prepararsi a scalzarli, ma per cambiare in meglio.

  • Che libro consigli di leggere a chi ha la passione per l’inchiesta giornalistica?

Si comincia dai fondamentali:Tutti gli uomini del presidente. Lo scandalo e la caduta di Nixon, libro del 1974 che ha cambiato il giornalismo. È il resoconto completo dell’inchiesta giornalistica con cui i giornalisti del Washington Post, Carl Bernstein e Bob Woodward (che per questa inchiesta vinsero il Pulitzer), scoperchiarono lo scandalo passato alla storia come Watergate, ovvero lo spionaggio illegale dei democratici per conto del presidente Nixon, che fu costretto a dimettersi per evitare l’impeachment. Il libro introduce per la prima volta la figura di “gola profonda”.

  • Un’inchiesta degli ultimi anni da segnalare ai giovani che stanno approcciando al mestiere di giornalista?
È sempre difficile segnalare una sola inchiesta, ce ne sono tante anche recenti che meriterebbero di essere menzionate. Vorrei invece focalizzare sul metodo per produrre inchieste e suggerire di leggere – anzi studiare – i lavori di Bellingcat. Dalla ricostruzione dell’abbattimento nei cieli dell’Ucraina del volo MH17 della Malaysia Airlines, all’individuazione dei responsabili del tentato omicidio per avvelenamento di Sergej Skripal e di sua figlia a molti altri lavori visibili sul loro sito, Bellingcat è probabilmente l’esempio più avanzato di come si possano utilizzare fonti aperte, immagini satellitari, mappe, social network, crowd sourcing (coinvolgere competenze e conoscenze attraverso la rete), i leak, l’incrocio di contenuti multimediali e metadati, per verificare i fatti, decostruire notizie false, avvicinarsi alla verità e in molti casi accertarla. Bellingcat è arrivata con strumenti disponibili a tutti a raccogliere informazioni e accertare fatti dove molti altri – autorità comprese – non erano arrivati. Certo, oggi grazie alle donazioni, Bellingcat può permettersi anche strumenti a pagamento di cui non tutti i giornalisti possono disporre, ma quello che conta è capire il metodo: anche la lunghezza e la direzione di un’ombra possono fornire informazioni determinanti, se si è in grado di interpretarle. La padronanza dei mezzi non esaurisce di certo il compito del giornalista, che deve anche comprendere e saper spiegare il perché degli eventi, ma solo basandosi sui fatti e producendo le prove. In Italia ce n’è un grande bisogno.
Infine, parlando di Italia, dove si confonde l’inchiesta con la cronaca giudiziaria ben raccontata, una menzione la meritano i colleghi Fanpage, le loro inchieste sotto copertura sono rivelatorie, meriterebbero un programma televisivo.