di Alessandro di Nunzio e Diego Gandolfo
Il giorno in cui andammo a trovare Giuseppe Antoci non ci saremmo mai aspettati di vederlo piangere. Era il maggio del 2015: noi stavamo realizzando la nostra inchiesta “Fondi rubati all’agricoltura” per il Premio Morrione, Antoci era il presidente del parco dei Nebrodi e nessuno aveva ancora la benché minima idea di cosa fosse la mafia dei pascoli e della strategia che aveva messo a punto per accaparrarsi i fondi UE per l’agricoltura. Nessuno tranne lui. Quel giorno Antoci dimostrò il coraggio della fragilità, mettendo a nudo la sua paura e la sua passione civile, raccontando al mondo, per la prima volta, cosa stava accadendo sui Nebrodi. Aveva appena ricevuto una lettera anonima contenente minacce di morte. Esattamente un anno dopo, Giuseppe Antoci sarebbe scampato miracolosamente ad un attentato tra i boschi dei Nebrodi.
Ieri è iniziato il maxiprocesso nell’aula bunker di Messina, e noi non possiamo fare a meno di pensare a lui e a quell’inchiesta che – grazie al Premio Morrione – consentì a tutti di capire cosa stava accadendo.
Finalmente, ad oltre 5 anni dalla messa in onda della nostra inchiesta, il gotha della mafia rurale è sul banco degli imputati. Quello a cui stiamo per assistere è davvero un “Maxiprocesso”. Ci sono 102 imputati coinvolti, 94 arresti, 150 aziende agricole sequestrate, un miliardo e mezzo di fondi UE e 300 testimoni. Il più grande mai celebrato in Europa in tema di truffe ai fondi pubblici erogati all’agricoltura, scrivono i giornali.
Ma attenzione, non siamo semplicemente davanti ad un grosso processo per truffa.
Qui va in scena l’atto finale di una guerra che vuole smantellare definitivamente un sistema, che ha permesso alla mafia dei pascoli di diventare una delle organizzazioni criminali più aggressive e potenti di Italia. Un sistema che ha portato nelle tasche della criminalità risorse inimmaginabili, con le quali hanno potuto arricchirsi, finanziare latitanze, espandersi. Tutto ciò è stato possibile anche grazie alla compiacenza di alcuni colletti bianchi ed alle mancanze di Agea, l’ente nazionale che avrebbe dovuto vigilare e impedire tutto ciò.
Auspichiamo che questa indagine metta nel mirino anche quella zona grigia che ha permesso alla mafia rurale di crescere e prosperare alle spalle dei tanti agricoltori che sono stati costretti ad abbandonare la propria terra. È per loro che questa grande inchiesta deve andare avanti e fare giustizia.