A partire dalla quinta edizione, il Premio si apre con decisione ai linguaggi polimediali e ai processi di comunicazione e di costruzione di senso caratteristici dell’era di internet. Per questa ragione, oltre ai consueti progetti di video-inchiesta, ne verranno selezionati due – che definiamo “WebDoc” – ispirati ai modelli espositivi della cultura della rete. Uno dei due tutor di questa categoria sarà Valerio Cataldi, inviato del TG2 specializzato su immigrazione e criminalità organizzata. Lo abbiamo intervistato.
- Perché ha accettato il ruolo di tutor del Premio Morrione? Che cosa significa per lei?
Perché l’inchiesta è il cuore del nostro mestiere e gli spazi per farla davvero sono sempre più ridotti. Il premio Morrione è una occasione importante per ribadire che abbiamo bisogno di un giornalismo libero, fatto di domande e di impegno. E il nome di Roberto Morrione è un nome importante per chiunque intenda fare davvero giornalismo. Iniziare questa avventura con dei ragazzi e con queste premesse, è per me una grande occasione di arricchimento.
- Cosa si aspetta dal giovane under 31 che seguirà nella realizzazione del webdoc?
Mi aspetto occhi attenti e sguardo aperto. Niente pregiudizi e niente verità in tasca. Una inchiesta si affronta solo se siamo davvero privi di certezze. Una idea, una traccia su cui lavorare può portare a rivelazioni sorprendenti, le certezze possono sempre ribaltarsi. Se non siamo disponibili a guardare con occhi lucidi non riusciamo a vedere i fatti e a distinguere le notizie.
- Quando ha capito che la sua professione sarebbe stata quella giornalistica?
C’è una data precisa: 8 aprile 1997. L’allora presidente della Repubblica Scalfaro concesse la grazia a Cinzia Merlonghi, ex tossicodipendente che aveva già pagato conto un salato con la vita, era riuscita a diventare operatore sanitario della fondazione antidroga Villa Maraini e volontaria di Croce Rossa, ma un cumulo di reati vecchi di venti anni la stava riportando in carcere. Era un’altra persona ormai. Io ero ufficio stampa di Villa Maraini. Mettemmo in moto una campagna per la grazia a Cinzia che conquistò ampio spazio su giornali e tv. L’allora ministro Livia Turco fece sua quella richiesta e la girò a Scalfaro nell’apertura della prima conferenza nazionale sulla droga. Nonostante il fastidio del Presidente per la richiesta irrituale, la grazia arrivò l’8 aprile 1997. Lo ricordo come uno dei momenti più importanti della mia vita da giornalista, da allora so che questo lavoro può davvero cambiare quello che abbiamo intorno.
- Cosa consiglierebbe a chi sta in questo momento scrivendo il progetto di webdoc di inchiesta per il nuovo bando?
Una lettura innanzitutto: Esercizi di stile di Raymond Queneau. La trama è un banale episodio avvenuto su un autobus ma è raccontato in 99 modi diversi. È un esercizio di scrittura ma è soprattutto un esercizio di osservazione della realtà, di interpretazione di ciò che accade. La trovo una lettura importante per qualunque cronista, perché apre la prospettiva e aiuta a “leggere” il mondo. Il consiglio è essenzialmente questo, cercare sempre di leggere il mondo in modo lucido e diretto, mai per sentito dire. Scrivere il progetto di una inchiesta è un impresa importante, è l’inizio di una avventura che richiede determinazione, lucidità e coraggio. Significa tracciare una strada che nessuno ha percorso prima. Ma il bello è proprio questo. Lasciatevi travolgere dall’entusiasmo.
Intervista a cura di Alessandra Tarquini